Volete capire che fine farà l’Alitalia? Leggete il corsivo di Gianni Dragoni su "Il Sole-24 Ore" del 10 settembre, a pagina 5, e qualche idea vi verrà. In poche parole Dragoni ci spiega che il valore degli slot dell’Alitalia si aggira, secondo le stime di un esperto, sui 6-700 milioni di euro mentre nel piano Fenice redatto dalla cordata acquirente, guidata da Roberto Colaninno, all’Alitalia medesima, depurata della zavorra che sarà addossata alla collettività, è attribuita una valutazione totale compresa tra 300 e 400 milioni. La differenza, che potrebbe essere incamerata dagli acquirenti, è di 300 milioni.
Gli slot sono le "fessure orarie" di cui dispone un vettore nei vari aeroporti, nazionali e internazionali, per il decollo e l’atterraggio dei propri velivoli. L’Unione europea li considera un bene pubblico e in quanto tale possono essere solo scambiati, ma non venduti.
In realtà il commercio di slot è una pratica sempre più diffusa, ci spiega Dragoni, soprattutto negli scali internazionali più congestionati come quello londinese di Heathrow. Quindi, per i futuri padroni di Alitalia, essi costituiscono una potenziale riserva finanziaria cui attingere.
Ora, ipotizziamo, per assurdo, che la Nuova Alitalia che dovrebbe nascere dalla fusione con Air One voglia attestarsi sulla tratta Roma-Milano (dove il Governo, pur di concederle una posizione ampiamente dominante, è pronto ad azzerare gli effetti della normativa antitrust) e voglia ridurre i collegamenti con i principali scali internazionali al minimo indispendabile. Se così fosse (ma è poi così assurdo questo scenario?) i futuri azionisti privati della compagnia potrebbero far cassa e rientrare in larga misura del loro investimento, dismettendo gli slot più remunerativi. A quel punto il capitale della Nuova Alitalia potrebbe essere aperto a una grande compagnia europea del settore la quale potrebbe rilevare, in toto o in parte, la quota dei soci privati. Il fallimento odierno dell’Alitalia, di cui pagheremo le spese tutti, come contribuenti, potrebbe diventare un affare per pochi domani.
Sono d’accordo. Del resto, come dimostrano le più recenti cronache finanziarie, il lavoro più remunerativo per i big della finanza e dell’impresa italiana degli ultimi anni sembra essere sempre più l’acquisto o il finto-acquisto di aziende decotte collegate a rami pubblici di servizi monopolistici.
Non si ha il benché minimo ripensamento storico o senso civico di fronte all’espropriazione indebita di strutture pagate da tutti.
Appalti come le Autostrade, la Telefonia, i collegamenti aerei, navali, ferroviari, la sanità dovrebbero esser concessi in base a delle precise garanzie d’investimento in termini economici, tecnologici e di ricerca piuttosto che a strane alleanze composte da pedine in un fantomatico scacchiere massmediatico.
Evidentemente una ventina d’anni fa dovevano spiegarci meglio il concetto di privatizzazione e liberalizzazione. O almeno lo abbiamo capito male.
Andrea Accorsi
La soluzione trovata per Alitalia mi sembra il banco di prova per applicare anche da noi quella forma di capitalismo traumatico che ha avuto tanto successo in Cile, Argentina, Russia, Cina, ecc.
La tempistica del nostro Governo ha infatti applicato le classiche regole della “shock economy”: traumatizzare i lavoratori e la popolazione per imporre le decisioni.
Si sono spesi circa tre mesi e l’esaurimento dei 300 milioni di euro, perdendo tempo con “l’urgenza” del lodo Alfano e con le vacanze estive, per poi organizzare una cordata priva di competitori e con la condizione ultimativa per i lavoratori: o l’accettazione o il fallimento.
Vengono creati ponti d’oro, scaricando le passività di Alitalia sui contribuenti, a favore del gruppo dei capitalisti CAI assolutamente privi di competenze per governare le complesse attività di un vettore aereo che opera nella rete internazionale.
L’inevitabile inefficienza di gestione viene comunque scaricata sulle risorse umane con sensibile riduzione della forza lavoro, contratti capestro e umiliazione delle professionalità.
Ma la cordata CAI deve comunque conseguire a medio termine del profitto e aumentare il patrimonio investito per cederlo poi a qualche grande vettore aereo straniero che riuscirà finalmente a inserire il nostro Paese in una vera rete globale di comunicazioni aeree.
La prepotenza degli ultimatum e delle umilianti condizioni imposte dal Governo e dalla CAI fa presagire per l’Italia, già in declino, l’avvento di un capitalismo selvaggio e predatorio che favorisce una ristretta fascia di ricchi
a danno della stragrande maggioranza della popolazione sempre più mortificata da peggiori condizioni economiche e di lavoro.