La Corte dei conti ricusò il prolungamento ventennale della concessione ad Autostrade, ma l’interesse del governo per le privatizzazioni prevalse sulle funzioni di controllo della magistratura contabile.

(Pubblicato su Business Insider Italia con il titolo “Autostrade, la Corte dei Conti bocciò nel 1998 la nuova concessione: ‘Ingiusto vantaggio’. Ma Prodi tirò dritto per entrare nell’euro”)

di Giuseppe Oddo 19/9/2018      12:01:15 AM

La Corte dei conti bocciò per ben due volte, nel 1997 e nel 1998, il decreto di approvazione della nuova concessione tra Anas e società Autostrade che recava la firma congiunta del ministro dei Lavori pubblici Paolo Costa e di quello del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi. Alla presidenza del Consiglio sedeva Romano Prodi. Da lì a poco la società sarebbe stata aggiudicata alla famiglia Benetton.
La concessione sarebbe dovuta scadere nel 2018, ma il primo governo di centrosinistra ne chiese e ne ottenne il prolungamento temporale fino al 2038 nonostante la Sezione di controllo e le Sezioni riunite della Corte dei conti avessero ricusato il visto e la conseguente registrazione del provvedimento. Il giudizio della magistratura contabile, che i giornali dell’epoca ignorarono, fu tagliente: nei termini in cui era stata richiesta dal governo la concessione era illegittima e “la non conformità a legge” coinvolgeva anche la cosiddetta variante di valico (il tratto appenninico dell’autostrada del sole tra La Quercia e Aglio, del cui iter autorizzativo s’era occupato Antonio Di Pietro, il predecessore di Costa) e il piano finanziario di Autostrade nel suo complesso.

Il ministero dei Lavori pubblici in una relazione del 30 gennaio 1998 insistette sulla fondatezza della sua tesi che qualificava “l’attività svolta dalla spa Autostrade come ‘concessione di servizio pubblico’ e non come appalto di servizi, né tanto meno come concessione di costruzione e gestione di lavori pubblici”. La Corte però smontò queste argomentazioni: “Condividono le Sezione riunite quanto, al riguardo, osservato dalla Sezione di controllo secondo cui anche nei più recenti interventi legislativi, inerenti al comparto autostradale, il legislatore non ha mai abbandonato il paradigma della concessione di costruzione e gestione di dette opere viarie”. E concluse: “Non è pertanto conforme a legge la convenzione…in cui viene attribuita alla società ‘Autostrade spa’ una proroga ventennale della concessione…in mancanza del rapporto di interconnessione, normativamente previsto, tra piano finanziario e la medesima priorità…Consegue pure la non conformità a legge dell’’oggetto’ della medesima convenzione, stipulata il 4 agosto 1997,…in cui sono specificati gli interventi per nuovi lavori e nuove opere previsti nel piano finanziario”.
I giudici contabili ritenevano illegittima non solo la richiesta di proroga della concessione, ma anche la sua estensione alla variante di valico. La Sezione di controllo aveva messo in evidenza che, “a differenza degli altri rapporti concessori, nel caso delle concessioni di costruzione ed esercizio di opere pubbliche la durata della concessione non è una variabile indipendente, discrezionalmente individuabile da parte del concedente in base ad elementi standardizzati e precostituiti, ma viene determinata caso per caso in stretta aderenza al piano finanziario di ammortamento del costo dell’opera ed in funzione dei livelli tariffari applicabili e dell’ammontare del contributo dello Stato per la realizzazione dell’investimento.
Da questa premessa l’Ufficio ha tratto la conclusione che una proroga “a pie’ di lista” per un periodo non inferiore a venti anni, come quella prevista dal ripetuto articolo 4 della legge n. 395/92, è intrinsecamente inapplicabile al peculiare comparto delle concessioni autostradali, poiché si risolverebbe in un beneficio immotivatamente accordato a qualunque concessionario, in contrasto con la natura essenzialmente corrispettiva della gestione, finalizzata a coprire (in tutto o in parte) gli oneri per la costruzione dell’opera pubblica oggetto della concessione”.
La tesi che il prolungamento ventennale avrebbe dovuto garantire ad Autostrade le disponibilità finanziarie per il mantenimento dell’infrastruttura non reggeva, secondo la Corte di conti. Lo Stato aveva infatti previsto per la Variante di valico un contributo annuo di 20 miliardi di lire tra il 1997 e il 2006 e per il potenziamento, il prolungamento e l’ammodernamento dell’infrastruttura aveva “provveduto ad assicurare direttamente…un totale di 2.500 miliardi” di lire.
Ciononostante le Sezioni riunite apposero il visto al decreto sia pure con l’anacronistica formula della “registrazione con riserva”. L’interesse del governo prevale sulle funzioni di controllo della Corte, e l’interesse prevalente del governo Prodi, che il 20 ottobre 1997 aveva peraltro collocato in Borsa la maggioranza di Telecom Italia, erano le dismissioni delle grandi imprese a partecipazione pubblica. Il Consiglio dei ministri nella seduta del 16 gennaio 1998 stabilì che “il richiamato decreto debba avere corso” a prescindere dalle osservazioni dei giudici. E il ministro dei Lavori pubblici scrisse, nella già citata nota del successivo 30 gennaio indirizzata alla Corte, che la deliberazione della Sezione di controllo, se fosse stata
adottata, “avrebbe determinato un ulteriore limite al processo di privatizzazione la cui certezza e rapidità dei tempi di attuazione rappresentano uno dei momenti qualificanti dell’attuale politica economica del governo e come tale funzionale al risanamento del bilancio pubblico”. Come dire che le riscontrate illegittimità erano secondarie, irrilevanti rispetto al piano governativo di risanamento dei conti dello Stato che i proventi delle privatizzazioni avrebbero dovuto favorire e a cui era legato l’ingresso dell’Italia nell’euro.
Il tempo ha in realtà dimostrato come la vendita delle aziende statali non sia riuscita né ad arrestare né tanto meno ad invertire la tendenza al peggioramento della finanza pubblica. Priva di poteri di veto, alla Corte non rimase altra scelta, come prevede in questi casi la sua legge istitutiva, che registrare il provvedimento con riserva, trasmettendone gli atti al Parlamento. Nell’ottobre 1999 Autostrade fu così ceduta a Schemaventotto, di cui Edizione della famiglia Benetton aveva la maggioranza assoluta.