Una mia intervista al giornale on line Terra mia raccolta da Pietro Spirito il 9 ottobre 2023 al Campania Libri Festival in occasione della presentazione de “L’arma del gas”.

Le materie prime energetiche sono tornate a giocare un ruolo primario nelle relazioni internazionali, così come è stato con il petrolio a partire dagli anni Settanta del secolo passato. Ora viviamo una stagione di transizione energetica che rende più complesse le decisioni che devono essere assunte dagli Stati.

Andrea Greco e Giuseppe Oddo ne parlano in un libro di grande interesse: “L’arma del gas. L’Europa nella morsa delle guerre per l’energia”, pubblicato in questi giorni da Feltrinelli. Ne parliamo con uno dei due autori, Giuseppe Oddo, editorialista de Il Sole 24 Ore e saggista.

D. Proprio nel Medio Oriente, che era stato teatro delle guerre per il petrolio, le azioni terroristiche su larga scala di Hamas contro Israele segnano una nuova stagione di guerra, pericolosa per la stabilità del Mediterraneo. Come entrano in questa vicenda terribile le risorse energetiche?

R. Le matrici di questo conflitto sono di natura politica e religiosa. L’energia stavolta non è l’attivatore dei conflitti ma si colloca in secondo piano, anche se le conseguenze di una guerra, soprattutto se sarà di lunga durata, sono destinate a lasciare una traccia profonda sul risiko che riguarda le materie prime energetiche internazionali. Il Mediterraneo concentra rilevanti giacimenti di gas. Israele ha cominciato a sfruttare importanti campi di trivellazione, ed è diventato esportatore di gas verso l’Egitto, mentre l’Iran possiede il 15,5% delle risorse di gas ed il Qatar l’11%.

Al largo delle coste egiziane l’Eni ha scoperto due giacimenti giganti, uno dei quali, Zohr, è già in produzione. La stessa Eni con TotalEnergies ha ottenuto delle concessioni a mare nella zona economica esclusiva della Repubblica di Cipro, ma la Turchia, altro attore di centrale rilevanza, contesta la titolarità di quel tratto di mare e di quelle risorse di gas.

La Russia resta il Paese con la dotazione principale di riserve di gas, pari al 23% del patrimonio mondiale. Insomma, l’energia subirà le conseguenze dei conflitti che stanno purtroppo tornando di attualità in Medio Oriente. E la riconversione che si è determinata nell’approvvigionamento europeo del gas a seguito della guerra ucraina sta mostrando un fiato corto sotto il profilo strategico.

D. L’Italia ha avanzato l’idea di proporre un Piano Mattei per i Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Per la verità non è ancora chiaro l’orizzonte di questo percorso. Possiamo provare a capire le mosse del Governo Meloni?

R. Ad oltre un anno di distanza dall’annuncio, siamo ancora fermi allo slogan, La proposta non è stata ancora esplicitata nelle sue coordinate precise. Pare sostanzialmente connessa alla questione migratoria, piuttosto che non al ridisegno di una strategia che riguarda la fonti energetiche ed il futuro economico della sponda sud del Mediterraneo.
Gli elementi qualificanti dell’intesa firmata nel gennaio 2023 tra l’Italia e la Libia riguardavano investimenti dell’Eni in joint venture con la Noc per 8 miliardi di euro nelle sviluppo di alcune aree esplorative di gas a mare e l’impegno del nostro governo a fornire a quello di Tripoli 5 motovedette finanziate dalla Ue per controllare il flusso dei migranti verso l’Italia. Ma subito dopo la firma dell’accordo il ministro del Petrolio, che era assente dalla cerimonia, ha criticato l’accordo, mettendone di fatto in discussione la validità.

Insomma, il Piano Mattei appare più una iniziativa tattica italiana per cercare di governare l’afflusso di migranti nei nostro Paese, piuttosto che non una operazione strategica per riconfigurare gli assetti economici ed energetici nel Mediterraneo. Manca un respiro nazionale, ma soprattutto una iniziativa europea, che potrebbe essere l’unico orizzonte capace di lasciare traccia nel confronto tra grandi potenze che è in corso.

D. Ma da dove nasce l’instabilità del mercato energetico mondiale? Quale è il legame tra politica ed energia? Quali possono essere gli scenari che dovremo fronteggiare nei prossimi decenni?

R. Tutto comincia con la disgregazione della Unione Sovietica, a dicembre del 1991. Abbiamo detto prima che la Russia è detentore sostanzialmente di un quarto delle riserve mondiali di gas. Però lo sfruttamento di questa fonte è possibile solo attraverso i gasdotti: è vero che si possono utilizzare anche le navi, ma per quantità certamente minori rispetto alla domanda ed al fabbisogno.
Con la disgregazione dell’URSS, la rete dei gasdotti è finita sotto il controllo della galassia degli Stati nati a seguito del crollo sovietico. Le nuove nazioni hanno visto il gas come una opportunità di fonte economica per il loro sostentamento. Ed alcuni territori avevano un ruolo di maggiore strategicità: l’Ucraina, in particolare, era la giugulare dei gasdotti.
In questo scenario la Germania, ed anche l’Italia, hanno ritenuto opportuno sfruttare l’economicità degli approvvigionamenti del gas russo; per la Germania non è stato solo un motivo di opportunità tattica sotto il profilo economico, ma anche una finestra di strategia politica per cercare di legare la Russia all’Occidente.
Questo disegno è sfumato proprio con la crisi della guerra russo-ucraina, che ha costretto tutta l’Europa a riscrivere la strategia energetica, abbandonando gli approvvigionamenti russi per cercare riposizionamenti che sinora sono stati più di natura tattica, in altri scenari che comunque stanno manifestando una instabilità non confortante per la prospettiva dei prossimi decenni.

D. Ma la transizione energetica che l’Unione Europea ha lanciato nel corso degli ultimi anni riuscirà a superare questo stallo?

R. Andiamo ancora in ordine sparso. La Francia continua nella sua opzione nucleare, l’Italia guarda al bacino del Mediterraneo, la Germania si trova nella maggiore difficoltà, perché da poco tempo ha anche deciso di abbandonare l’opzione nucleare. Procediamo con una navigazione a vista che è esattamente l’opposto di quello che richiede la strategia di transizione energetica che è stata decisa dalla Commissione Europea.
L’abbandono delle risorse fossili rischia di consegnarci alle batterie cinesi, passando da una dipendenza all’altra, senza riuscire a costruire una autonomia energetica che è indispensabile per cercare di confermare la potenza economica ed industriale dell’Europa.
Siamo rimasti prigionieri del nuovo ordine mondiale determinato dal crollo della potenza sovietica e dalla affermazione della potenza cinese. Non essere riusciti a costruire una più consistente identità europea ci ha lasciato in balia degli eventi, senza una strategia unitaria.