E’ lì che Mario Reali s’era ritirato. A Roma faceva solo qualche rara puntata. Dopo una vita trascorsa a Mosca, prima come responsabile della Montedison e poi come rappresentante dell’Eni, era rientrato in Italia intorno alla metà degli anni Duemila. Ci eravamo sentiti per telefono, l’ultima volta, in settembre.

Reali (a destra nella foto) è un personaggio leggendario. Ad appena 21 anni, nel 1960, viene mandato nella capitale sovietica come studente modello di chimica dopo aver frequentato per qualche mese la scuola quadri delle Frattocchie, dove il Pci formava i suoi quadri dirigenti. A Mosca comincia a dedicarsi alla ricerca e a frequentare i vicini laboratori di Dubna, dove incontra il fisico Bruno Pontecorvo, che aveva lavorato a Roma con Enrico Fermi. Parla bene il russo e un giorno l’ambasciata italiana lo prega di fare da interprete alla delegazione dell’Eni che è in visita lì. La guida il presidente e fondatore del gruppo, Enrico Mattei, e ne fa anche parte il capo delle attività estere, Giuseppe Ratti. Mattei resta colpito dall’intelligenza del giovane Reali e lo invita a presentarsi all’Eni dopo aver completato il ciclo di studi. Ma quando, conclusa l’esperienza a Mosca, Reali si laurea a pieni voti all’università di Bologna, Mattei è già morto nell’attentato di Bascapè e al suo posto è subentrato Eugenio Cefis. Reali ottiene comunque un buon inquadramento dalla Montedison, il colosso chimico privato nato nel 1966 dalla fusione tra Montecatini ed Edison, che lo incarica di aprire un ufficio a Mosca. La sua avventura oltre la cortina di ferro comincia in una stanza dell’Hotel Ucraina, “dove il bagno faceva anche da cucina con un asse di legno poggiato ai bordi della vasca”, mi raccontò. E a Mosca finisce fatalmente per incontrare Eugenio Cefis, che dopo avere scalato la Montedison con i fondi pubblici dell’Eni ne ha anche ottenuta la presidenza, lasciando quella del gruppo del “cane a sei zampe” a Raffaele Girotti.

Reali a Mosca coltiva le relazioni con la nomenklatura, negozia contratti per il gruppo Montedison. E tutte le volte in cui Cefis arriva in Urss accompagna il capo al Cremlino a colloquio col primo ministro Aleksej Kossighin; con il quale Reali mantiene un rapporto che si rafforzerà nel tempo e che sopravviverà all’improvvisa uscita di Cefis dalla Montedison. Il grande salto avviene nell’aprile 1981. Reali non ha ancora compiuto 42 anni quando Ratti, che ha conosciuto a Mosca vent’anni prima, gli offre la direzione dell’ufficio di rappresentanza dell’Eni. Da quel momento la sua posizione diventa ancora più strategica. L’Eni, infatti, importa in Italia il metano prodotto nei giacimenti siberiani. E l’ufficio di Mosca svolge un delicato ruolo di coordinamento tra il ministero del gas dell’Unione Sovietica e la Snam (che allora gestiva le attività metanifere dell’Eni, il gasdotto nazionale e i contratti con i paesi importatori). E’ un periodo di forte tensione nei rapporti Est-Ovest. L’Eni sta per sottoscrivere un accordo quadro con l’Urss per l’acquisto di 8 miliardi di metri cubi di gas in cambio di stazioni di compressione destinate al metanodotto Urengoj-Pomara-Uzhgorod, ma il presidente Usa Ronald Reagan ha imposto l’embargo sui rotori della General Electric che debbono essere montati nelle turbine del Nuovo Pignone da collegare alle unità di compressione della rete. Il gruppo italiano si trova dunque al centro di forti pressioni internazionali, che si risolveranno con la decisione del capo del governo Giovanni Spadolini di imporre una “pausa di riflessione” di cinque anni ai rapporti Eni-Urss.

Il lavoro di Reali dietro le quinte, per garantire ai sovietici che gli impegni assunti dal gruppo saranno rispettati, si rivelerà essenziale perché quegli 8 miliardi di metri cubi di gas non finiscano alla Germania, che è in agguato pronta a subentrare all’Italia negli accordi. Decisivo sarà l’apporto manageriale di Reali anche negli anni successivi, dopo il crollo dell’impero sovietico, la nascita della Federazione Russa e l’ascesa al potere di Boris Eltsin, quando al vertice del Konzern Gazprom (l’ex ministero del gas dell’Unione Sovietica) sarà nominato Viktor Cernomyrdin. I frequenti contatti tra Reali e Cernomyrdin (futuro primo ministro della Russia) e Reali e Rem Vyakhirev (che guiderà Gazprom per lungo tempo) saranno fondamentali per mantenere intatta la posizione di monopolio dell’Eni nei rapporti contrattuali con Mosca. Sono anni turbolenti anche per l’Eni e per il suo nuovo presidente, Gabriele Cagliari, che sarà arrestato per tangenti nell’ambito dell’inchiesta “mani pulite” e ritrovato morto in carcere, a San Vittore. E’ il periodo in cui Reali sta subendo pressioni perché l’Eni acquisti petrolio proveniente dalla Cecenia, che all’epoca è ancora parte integrante dell’Urss. Il denaro avrebbe dovuto essere utilizzato dai ceceni per l’acquisto di armi, nella prospettiva di una secessione, e sarebbe dovuto finire anche a un partito italiano. La vicenda è ricostruita nel saggio-inchiesta “Lo Stato parallelo. La prima inchiesta sull’Eni” (Chiarelettere). E sarà sempre Mario Reali, molti anni dopo, a vigilare e a far scattare l’allarme sull’”operazione Mentasti”: il tentativo dell’ex imprenditore delle acque minerali San Pellegrino, Bruno Mentasti Granelli, di interferire negli affari dell’Eni nel gas, facendo sponda sulla sua antica amicizia con Silvio Berlusconi. Mentasti era stato socio in Telepiù dell’ex cavaliere ed era considerato un suo prestanome. L’Eni avrebbe dovuto cedere a un’impresa mista tra Mentasti e la viennese Centrex (riconducibile a Gazprom) una quota delle proprie importazioni di metano dalla Russia, consentendole di entrare nel mercato della distribuzione in Italia. All’amministratore delegato del gruppo, Vittorio Mincato, non sarà rinnovato l’incarico per essersi messo di traverso all’operazione. E ci rimetterà il posto anche il direttore degli approvvigionamenti di gas, Enrico Grigesi.

Nel 2005 Reali esce dall’Eni e lascia Mosca. Nei dieci anni precedenti ha partecipato allo straordinario cambiamento del gruppo: dalla quotazione in Borsa realizzata dal primo amministratore delegato, Franco Bernabè, alla crescita internazionale per acquisizioni portata avanti da Mincato. Ha visto i partiti ritirarsi dall’Eni. Ha visto il gruppo raddoppiare la produzione giornaliera di idrocarburi. Ha seguito molti progetti tra cui il Blu Stream, il tubo posato dalla Saipem sotto il Mar Nero, che collega la Russia al promettente mercato turco. Nel frattempo, è salito al potere Vladimir Putin, che ha piazzato nuovi manager nell’industria del gas. I Chernomyrdin e i Vyakhirev sono stati estromessi di colpo. Il vicepresidente di Gazprom e direttore generale di Gazexport, Yuri Komarov, grande referente di Reali negli anni di Mincato, è stato trasferito bruscamente ad altro incarico. E al loro posto sono subentrati Alexej Miller e Dmitrij Medvedev. Il primo è ancora oggi amministrato delegato di Gazprom. Il secondo ricopre dal 2012 la carica di primo ministro dopo essere passato per la presidenza del consiglio di sorveglianza di Gazprom e dopo essere stato eletto presidente della Federazione russa al posto di Putin.

Reali è tra i primi ad intuire che Putin intende utilizzare l’arma del gas per restituire alla Russia il ruolo di superpotenza nei suoi rapporti con l’Unione europea, gli Usa e ora anche con la Cina. L’energia al posto dell’ideologia comunista come vettore d’influenza internazionale. L’energia come strumento di supremazia nei confronti di un’Europa troppo dipendente dalle importazioni di gas russo per potersene disfare. E nello stesso tempo denuncia alcune anomalie di cui è a conoscenza: fatti che coinvolgono manager dell’Eni, che potrebbe documentare se il suo archivio segreto, conservato nell’intercapedine di una parete divisoria in legno del suo ufficio di Mosca, non fosse stato trafugato poco prima del suo addio al gruppo. La più grave di queste vicende, archiviata dalla Procura di Roma e riaperta da quella di Milano, è la cosiddetta Tangentopoli del Kazakistan: stecche multimilionarie su forniture per i giacimenti di Karachaganak e Kashagan, retrocesse ad amministratori e politici kazaki e a dirigenti, consulenti e mediatori dell’Eni. E inoltre: finte gare a società russe e kazake del condensato prodotto a Karachaganak e svendita del gas che fuoriesce dal giacimento insieme al condensato. Senza contare le accuse di spionaggio e di presunta corruzione indirizzate a Ernesto Ferlenghi, che al momento della sua assunzione ha tenuta nascosta a Reali la doppia cittadinanza, italiana e russa. Anche tutto questo è documentato ne “Lo Stato parallelo”, con i cui autori (chi scrive e Andrea Greco) Reali ebbe lunghi e ripetuti colloqui.

Dall’Eni, negli ultimi anni di vita, il manager venuto da Mosca ricevette solo amarezze e querele per quanto andava denunciando. Gli fu di conforto soprattutto la poesia, una passione che aveva coltivato fin da giovane. Reali era un manager-poeta e negli ultimi anni aveva pubblicato vari libri, tra cui uno, “Elegia del terrore”, ispirato al dramma dei gulag. Durante la lunga permanenza a Mosca, aveva raccolto lettere di familiari di dissidenti che erano stati rinchiusi nei campi di detenzione correttiva, e da questi documenti, che custodiva gelosamente, è scaturita una delle sue più originali raccolte di versi. Per il suo lavoro di poeta aveva ricevuto apprezzamenti anche negli Usa dove alcune università americane lo avevano invitato a tenere delle conferenze. Gli mancavano le energie per affrontare un viaggio così lungo. Forse, in cuor suo, non aveva perso la speranza di recuperarle. Ma la malattia contro cui ha combattuto a testa alta lo ha stroncato.