Milano ha perso l’occasione di essere la metropoli più verde d’Europa. In compenso è tra le più inquinate del mondo, con un’aria mefitica e un rumore di fondo che rompe i timpani (mio articolo pubblicato su “Appunti” il 9 marzo 2025 https://appunti.substack.com/p/la-fine-ingloriosa-del-rito-ambrosiano).

Davvero un bel risultato per una città che con l’Expo s’era candidata a modello di sostenibilità, innovazione, risparmio energetico, rispetto dell’ambiente e delle risorse naturali e altre amenità del genere.

Di queste promesse non resta oggi che una gigantesca colata di cemento, di cui i grattacieli di Citylife e Porta Nuova, due dei nuovi quartieri più in voga della città, sono la parte architettonicamente più iconica. Il Bosco verticale e la Torre UniCredit, l’edificio più alto d’Italia, si elevano nello spazio a simboli di una metropoli proiettata nella modernità. Ma è una modernità indifferente ai bisogni reali dei cittadini, che stride con i fini dichiarati dalle amministrazioni avvicendatesi a Palazzo Marino.

Lo stravolgimento edilizio e urbanistico di Milano va anzitutto imputato alle giunte berlusconiane che hanno pianificato a partire dagli anni Duemila questo nuovo modello di città. Ma anche quelle di sinistra portano il loro carico di responsabilità. Per mancanza di coraggio o per convenienza hanno finito per avallare, con il loro silenzio-assenso, una politica della casa antipopolare e di destra.

Il caso più scandaloso, secondo Gianni Barbacetto – firma di punta del Fatto quotidiano e autore di un libro d’inchiesta, Contro Milano, che ha fatto saltare i nervi all’amministrazione comunale – è quello dell’attuale sindaco, Giuseppe Sala, un ex top manager di Pirelli e Telecom Italia che ha capitalizzato in politica l’esperienza di Commissario unico dell’Expo e che fino a qualche mese fa si proponeva addirittura come federatore di una sinistra che stenta a compattarsi.

Sala emerge dal saggio di Barbacetto come il responsabile morale dell’ondata speculativa che ha colpito la città, arricchendo i proprietari di grandi patrimoni immobiliari e i fondi internazionali che investono nel “mattone”. Perché si abbia un’idea dei capitali che girano intorno all’immobiliare, il solo fondo del Qatar ha rilevato dieci anni fa l’intera proprietà di Porta Nuova, pagandola nel complesso – secondo valutazioni non ufficiali – all’incirca 2 miliardi.

Il problema dell’abitare a Milano è reso drammatico oggi dal continuo incremento di valore degli immobili che spinge le fasce sociali a reddito medio-basso e basso verso le zone più ai margini dell’area metropolitana. I prezzi per metro quadrato hanno raggiunto livelli proibitivi in centro, sono schizzati all’insù nel semicentro e hanno registrato rialzi esagerati anche nelle periferie e nell’hinterland. E, quando i prezzi si discostano troppo dal valore intrinseco di un bene, significa che è in atto una bolla speculativa che presto o tardi finirà per scoppiare.

Intanto a farne le spese sono soprattutto i giovani che debbono mettere su famiglia, i trentenni che non possono permettersi l’onere di un mutuo, non hanno un genitore che li garantisca nei confronti della banca e non possono nemmeno concedersi un immobile in affitto.

Per un monolocale a Corvetto, all’Ortica, a Quarto Oggiaro occorrono 800-1.000 euro al mese. La generale tendenza dei proprietari di case a privilegiare gli affitti brevi per i turisti, molto più remunerativi e meno problematici di quelli a lungo termine, ha fatto lievitare il prezzo degli appartamenti in locazione.

Il numero dei residenti a Milano aumenta, ma per le fasce sociali a basso reddito non c’è più posto. Centinaia di migliaia di persone pendolano ogni giorno tra centro e periferia.

Barbacetto ci racconta con dati alla mano come, dietro la melassa affabulatoria della Milano capitale europea che funziona, dietro lo storytelling della Milano capitale del fare, le amministrazioni comunali siano divenute nei fatti sempre più insensibili ai bisogni primari della collettività: casa, lavoro, salute.

Ancora alla fine degli anni Settanta, soprattutto per chi arrivava dal Sud, Milano era forse l’unico Comune d’Italia in cui ci si sentiva davvero cittadini, dove non avevi solo doveri da rispettare ma anche diritti da far valere. Dove ti sentivi partecipe di un progetto comune. Oggi la massa degli esclusi tende ad allargarsi. Altro che inclusione.

Dov’è finita la città dell’accoglienza in cui nessuno sfrattato era lasciato a dormire per strada? Milano sta diventando una città d’élite che vive per l’élite. Certe zone del centro che un tempo avevano un’anima popolare sono divenuti quartieri in dove le case costano più che a Manhattan.

Lo stravolgimento edilizio della metropoli ha un inizio preciso, secondo l’autore: la cessione dell’area di via Domodossola che ospitava l’antica mostra campionaria. Sindaco di Milano in quella fase è Gabriele Albertini, presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, esponente di punta di Comunione e liberazione.

Per costruire un moderno polo fieristico che soddisfi appieno le esigenze dell’industria, Fondazione Fiera presieduta dal ciellino Luigi Roth mette in vendita nel 2004 i terreni di via Domodossola e investe il ricavato nella costruzione di un nuovo centro espositivo in una zona a nordovest della città metropolitana, tra i Comuni di Rho e Pero. L’operazione però si rivela molto più onerosa del previsto anche a causa delle costose soluzioni architettoniche adottate dal progettista, Massimiliano Fuksas.

Per completare i lavori, Fondazione Fiera è pertanto costretta a contrarre un debito di 250 milioni che non è in grado di rimborsare.

La traballante situazione economico-finanziaria dell’ente fieristico rischia di esporre Formigoni, che ha nominato Roth, alle conseguenze di un possibile dissesto; aggravato dal fatto che una fondazione è un istituto privato senza scopo di lucro il cui patrimonio è finalizzato al perseguimento degli scopi sociali fissati per statuto. Per evitare che la situazione degeneri in uno scandalo, i due si rivolgono a Maurizio Lupi (attuale leader di Noi moderati), altro discepolo della parrocchia ciellina, che all’epoca è assessore all’Urbanistica della giunta Albertini. E in che modo Lupi corre in soccorso di Fondazione Fiera? “Aggirando le norme urbanistiche – scrive Barbacetto – con strumenti quali l’accordo di programma e il piano integrato di intervento”. Le nuove regole introdotte negli anni novanta consentono infatti di “buttare all’aria il piano regolatore e di costruire di più, in nome dell’interesse pubblico”.

Con l’adozione di questi nuovi strumenti, il Comune in pratica raddoppia a 1,15 l’indice di fabbricabilità di via Domodossola (cioè il rapporto tra volume edificabile e superficie a disposizione del costruttore) che normalmente dovrebbe oscillare tra 0,35 e 0,65, e svende a 300 euro al metro quadrato, ovvero al 5% del valore del costruito, gli oneri di urbanizzazione che servono a dotare le nuove aree edificabili di fognature, rete idrica, strade, parcheggi, illuminazione, verde pubblico e quant’altro. E’ un prezzo stracciato, chiosa Barbacetto, il più basso d’Europa.

A queste condizioni, i terreni della vecchia fiera sono un affare e appena è bandita la gara le offerte fioccano. Ad aggiudicarsela, per 523 milioni, contro una base d’asta di 318 milioni, è il consorzio Citylife, una cordata privata di cui fanno parte tra gli altri Generali, Ras (del gigante assicurativo tedesco Allianz) e Fondiaria-Sai (del gruppo Ligresti, che nel 2013 cadrà in dissesto e uscirà di scena). Fondazione Fiera incassa il malloppo e abbatte il debito.

Nel frattempo il mandato di Albertini è scaduto e sindaca di Milano è stata eletta Letizia Moratti, che nel marzo 2008 conquista l’organizzazione dell’Expo in programma per il 2015. Il nuovo affare milionario sono ora i terreni agricoli intorno a Rho-Pero che dovranno accogliere il grande evento: un’estensione agricola di un milione di metri quadrati che fa capo in parte al gruppo Cabassi e in parte alla Fondazione Fiera, che li ha acquistati per destinarli a parcheggi del polo fieristico.

Moratti è illusa di ottenere quei terreni in comodato d’uso per destinarli all’Esposizione universale, con l’impegno a restituirli edificabili ai due proprietari al termine dell’attesa rassegna. Ma dovrà ricredersi e pagarli con i soldi dei milanesi, indebitando pesantemente il Comune. Lo stesso dovrà fare la Regione Lombardia.

A imporne l’acquisto sarà il solito Formigoni (che per fatti scollegati da queste vicende sarà condannato nel 2019 in via definitiva, a cinque anni e dieci mesi di reclusione, per corruzione nel settore della Sanità). Per la sua parte Fondazione Fiera incasserà altre decine di milioni.

Intanto sulla scena edilizia milanese hanno fatto irruzione i nuovi re del “mattone”  attratti dalle condizioni particolarmente vantaggiose offerte dall’amministrazione comunale.

Scomparsi i Ligresti, i De Mico, gli Zunino, i Berlusconi, i protagonisti del settore sono adesso le società di sviluppo immobiliare come la Coima di Manfredi Catella, come il colosso statunitense Hines o come Generali, Unipol (di cui sono azioniste di controllo le cooperative rosse), Allianz, Intesa Sanpaolo, Unicredit. Il real estate è divenuto un’estensione della finanza. L’unico elemento di saldatura con il passato è l’intreccio con la politica. Per fare un buon affare immobiliare bisogna avere le maniglie giuste a Palazzo Marino. E a Milano da un decennio la politica ha il volto di Giuseppe Sala.

L’attuale sindaco ha introdotto quello che Barbacetto definisce il “rito ambrosiano”: quel sistema opaco degli affari pubblici affermatosi con Expo 2015. Al Sala commissario dell’Esposizione universale l’autore dedica molte pagine, ricordando come l’Autorità anticorruzione – nata proprio “per cercare di mettere un freno al malcostume dell’Expo” – mosse un interminabile elenco di rilievi su centotrentotto appalti, criticandone “la gestione e la scarsa trasparenza nella obbligatoria pubblicizzazione di dati, bandi e contratti”.

Il “rito ambrosiano” descritto da Barbacetto sembra la stessa liturgia di Expo 2015 Spa applicata al Comune, lo stesso metodo di gestione di una società a capitale interamente pubblico trasferito al governo della città.

“Il rito ambrosiano” aggira i passaggi previsti dalle leggi nazionali, ispirate all’articolo 9 della Costituzione, e considera le norme urbanistiche come un freno, una lungaggine, una burocrazia da abbattere.

Applicando queste norme, il Comune ha potuto aggiornare nel 2018 il suo regolamento edilizio con una semplice determina, cioè con un atto firmato da un dirigente dell’amministrazione, che consente tra l’altro in certe situazioni di ottenere l’autorizzazione a costruire con l’autocertificazione del costruttore. Il costruttore in altre parole certifica da sé la correttezza del proprio progetto e, se entro trenta giorni non riceve alcuna comunicazione dal Comune, è autorizzato a iniziare i lavori.

E’ bastata una circolare del luglio 2023 firmata da una dirigente comunale a rimuovere l’obbligo del piano attuativo per costruire edifici di oltre venticinque metri di altezza. Annota Barbacetto: “Su 882 costruzioni residenziali registrate nel portale Open data del Comune di Milano dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2013, ben 510 sono state autorizzate con una semplice autocertificazione”.

Facciamo nostra la domanda dell’autore: come possono una determina e una circolare imporsi sulle leggi dello Stato? Eppure per trasformare in area residenziale la pista dell’ex Trotto, una delle più grandi operazioni immobiliari che incombono su Milano, è bastata una semplice determina dirigenziale.

A Milano per costruire un grattacielo ormai “basta un sì della Commissione per il paesaggio, consulenti che nessuno ha eletto e nessuno ha assunto, ma che sgravano gli amministratori eletti e i dirigenti assunti delle responsabilità che dovrebbero prendersi con le loro scelte nei confronti della città”. Il tutto all’insegna di una crescita che arricchisce i palazzinari e impoverisce la città, sottraendole aree che potrebbero diventare polmoni verdi.

Nel 2022, nel Comune di Milano, il cemento s’è mangiato altri 26 ettari di suolo. E il consumo di territorio nell’intera area metropolitana ha superato di poco i 330 ettari tra il 2006 e il 2021.

Con la deregulation urbanistica di questi anni è stata mandata al macero una cultura della programmazione e dello sviluppo che era guidata dall’interesse pubblico. Il sistema delle deroghe e delle varianti ha finito per delegittimare qualsiasi piano di governo del territorio e per affermare il principio che ormai sono gli abusivi a fare l’urbanistica. Anche una lottizzazione può essere avviata con un’autocertificazione.

Con il sistema della cosiddetta rigenerazione urbana, le Regioni hanno introdotto “incentivi volumetrici” che permettono di aggiungere piani agli edifici esistenti e di sopraelevare palazzi d’interesse storico come è accaduto al Teatro alla Scala, i cui nuovi corpi progettati da Mario Botta fanno a pugni con la razionalità neoclassica del Piermarini.

Grazie alla deregulation il mercato ha avuto mano libera, e non basteranno qualche studentato e qualche intervento di social housing a calmierare i prezzi e a impedire la deportazione nell’hinterland di centinaia di migliaia di cittadini, soprattutto giovani.

Per di più il “rito ambrosiano” mostra già la corda. Alla metà dello scorso anno, Sala ha ammesso che gli operatori immobiliari avevano cominciato ad abbandonare Milano. A far scattare l’allarme sono state le prime indagini della Procura e le prime denunce dei comitati di cittadini: che hanno fatto rallentare le operazioni edilizie e ridotto gli incassi del Comune, determinando tagli di spesa nel bilancio di Palazzo Marino e quindi minori servizi e minore assistenza per i cittadini

La magistratura ha messo sotto osservazione 150 cantieri, e Sala ha preteso per mesi che a legittimare l’operato della sua giunta fosse un decreto salva-Milano, una sorta di sanatoria delle procedure di demolizione e ricostruzione edilizia che di fatto avrebbe neutralizzato l’azione della magistratura. Il provvedimento, approvato dalla Camera, è però rimasto bloccato per mesi in Senato.

Il sindaco ha annunciato la rinuncia al salva-Milano solo qualche giorno fa, dopo aver saputo della gravità delle accuse formulate dalla magistratura contro un ex dirigente dell’amministrazione messo agli arresti.

Il problema non sono soltanto i 100 o 200 milioni in meno di oneri di urbanizzazione che il Comune contabilizzerà nei prossimi anni per il calo o la paralisi delle operazioni immobiliari, ma anche e soprattutto i 2 miliardi di minori introiti edilizi che – secondo calcoli basati su dati giudiziari – Sala ha fatto perdere ai milanesi negli ultimi dieci anni per gli sconti concessi ai costruttori.

Quanti alloggi popolari, quanti studentati, quanti case per giovani coppie si sarebbero potute realizzare con 2 miliardi?

La battaglia giornalistica di Barbacetto, culminata nella pubblicazione del libro, è andata di traverso al primo cittadino. Sala l’estate scorsa ha sottoposto una delibera alla giunta, votata da tutti gli assessori, con cui è stato dato mandato all’avvocatura comunale di citare in giudizio per danni il cronista milanese. Barbacetto avrebbe diffamato – secondo il sindaco – il buon nome dei funzionari dell’amministrazione per aver fatto riferimento in un suo articolo (“Mani pulite sui grattacieli abusivi”, pubblicato dal Fatto quotidiano, ripreso da un sito satirico e condiviso sui social) a un nuovo sacco edilizio di Milano del tipo “Mani sulla città”.

Quella della giunta è un’azione resa possibile da un codice penale che lascia volutamente impunita la lite temeraria anche se ha lo scopo di imbavagliare chi scrive e se proviene da un’istituzione che dovrebbe essere aperta al confronto con i cittadini e alle critiche dei mezzi di comunicazione.

Non sappiamo se i fatti narrati dall’autore di Contro Milano configurino l’esistenza di un sistema corruttivo epidemico, alla Tangentopoli per intenderci, di cui peraltro Barbacetto anticipò l’inizio con Milano degli scandali, saggio del 1992 scritto a quattro mani con Elio Veltri.

Sappiamo però che il 5 marzo è scattato il primo arresto domiciliare per un dirigente in pensione dell’Urbanistica, un architetto, già componente della Commissione Paesaggio, accusato di presunto falso nella gestione di alcuni interventi edilizi e di depistaggio delle indagini. Ed è stata chiesta parallelamente per due funzionari dello Sportello unico per l’edilizia una misura di interdizione temporanea dai loro incarichi.

I pubblici ministeri scrivono dell’esistenza di un’organizzazione parallela all’interno del Comune, che avrebbe favorito progettisti e società di costruzioni e premuto per il salva-Milano.

Al di là dell’inchiesta penale, che dovrà fare il suo corso, emergono tuttavia da questa vicenda gravi responsabilità politiche: un modo di governare gli affari edilizi, attuato dai sindaci di destra e fatto proprio da quelli di sinistra, che ha generato benefici per pochi investitori (costruttori, immobiliaristi, fondi chiusi, banche, compagnie assicurative) e costi per la massa dei milanesi. Che ha arricchito gli uni e impoverito gli altri.