Il petrolio racchiuso a Kashagan, il ritrovamento supergigante nell'offshore kazakho del Mar Caspio, sembra voglia restare sotto terra. Benoit Thévard, ingegnere esperto di energia, spiega i problemi che rendono difficoltoso lo sfruttamento del giacimento. La produzione, partita l'11 settembre 2013, con otto anni di ritardo, è stata fermata a distanza di appena quattordici giorni, il 25 settembre, a causa di una fuga di gas. Il petrolio di Kashagan è infatti associato a grandi quantità di acido solfidrico, sostanza tossica che esplode a contatto con l'atmosfera.

Il giacimento è ritornato a funzionare il 6 ottobre, ma già il 10 era di nuovo fermo per un'altra perdita di gas, finché il 24 ottobre il consorzio industriale composto da Eni, Total, Shell, Exxon, KazMunaiGas, ConocoPhillips ed Inpex, che ha condotto le attività esplorative, non ha annunciato che la produzione non potrà riprendere prima di qualche settimana.  Nel frattempo, il 31 ottobre, ConocoPhillips ha perfezionato la vendita della propria partecipazione a KazMunaiGas.

Kashagan, in cui finora sono stati investiti 50 miliardi di dollari, si è rivelato un progetto molto costoso per le condizioni estreme in cui sono costrette a lavorare le compagnie. L'autore dell'articolo cita uno studio della banca statunitense Goldman Sachs secondo cui il petrolio estratto dal maxigiacimento dovrebbe avere un prezzo minimo di vendita di 125 dollari al barile. Una cifra che alle quotazioni attuali del greggio è non remunerativa. Vai al link:

http://www.avenir-sans-petrole.org/article-kashagan-le-petrole-qui-voulait-rester-sous-terre-120888070.html