Per salvaguardare gli interessi petroliferi dell’Eni in Egitto, le “barbe finte” con i loro “giochi sporchi” di depistaggio avrebbero immolato le indagini sul barbaro assassinio al Cairo dello studente italiano Giulio Regeni sull’altare della ragion di Stato, scrive in sostanza Enrico Fierro su “Il Fatto quotidiano”.

Tesi suggestiva, difficile da dimostrare, ma per niente strampalata. A sostegno della quale il quotidiano diretto da Marco Travaglio elenca i vasti interessi del Cane a sei zampe nel Mediterraneo. Com’è noto tali interessi si sono di recente irrobustiti con il ritrovamento del giacimento a metano di Zohr, nel Mediterraneo prospiciente l’Egitto, da cui al più presto l’Eni conta di estrarre gas naturale e di farci profitti. In un momento piuttosto buio per i conti del gruppo, che paga lo scotto di una gestione pregressa eccezionalmente brillante sul piano della comunicazione, un po’ meno su quello della gestione imprenditoriale e industriale, tutto ciò che può contribuire in poco tempo ad accrescere il margine e il risultato aziendale  ha la priorità assoluta. Infatti oggi non c’è uno nell’establishment o ai piani alti dell’Eni che si azzardi a criticare il regime del generale al-Sisi; che sarà pure un baluardo contro l’avanzata dell’Isis, ma che è salito al potere con un colpo di Stato, scalzando l’unico presidente eletto dal popolo. Oltre tutto, il primo e per molto tempo l’unico acquirente del gas di Zohr sarà proprio Il Cairo, anche se l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, ha lasciato intravedere la possibilità che parte della produzione del giacimento possa essere convogliata in Italia sotto forma di Gnl (Gas naturale liquefatto).  Quindi ha ragione “Il Fatto”: quieta non movere et mota quietare, ovvero non smuovere le acque e semmai calmare quelle agitate, magari con qualche depistaggio, attività in cui nostri servizi sono particolarmente “qualificati”.

C’è molto da capire sul rapporto tra Eni e intelligence e su come questo rapporto si sia modificato negli ultimi anni, sia nel periodo berlusconiano, sia dopo l’arrivo di Matteo Renzi alla presidenza del Consiglio. Prima i sospetti sul caso Shalabayeva, su cui indaga la Procura di Perugia. Ora anche qualche dubbio sul caso Regeni. Ci sono canali di collegamento tra l’Eni e i servizi? La frase gettata lì un anno fa da Renzi in televisione è stata voce dal sen fuggita o qualcosa di più serio? Gli organi di controllo e il parlamento sono a conoscenza di questa situazione? Qualcuno batta un colpo.