Approderà a Washington il 23 febbraio, al Distretto federale di Columbia, il contenzioso legale tra Ucraina e Russia scaturito dal sequestro delle attività di Naftogaz in Crimea, di cui Mosca si impadronì nel 2014 annettendosi la penisola sul Mar Nero.

La società di Kiev di proprietà dello Stato ha già ottenuto due vittorie: la prima alla Corte arbitrale dell’Aia, che con sentenza del 12 aprile 2023 ha riconosciuto a Naftogaz, per l’esproprio dei suoi beni e le perdite conseguenti in Crimea, il diritto a un megarisarcimento di 5 miliardi di dollari a spese del Cremlino; la seconda all’Alta Corte di giustizia d’Inghilterra e del Galles, alla quale Naftogaz ha successivamente presentato ricorso, che con ordinanza del 5 dicembre 2023 ha confermato il lodo arbitrale della Corte olandese, compreso l’ammontare dell’indennizzo. L’importo è di gran lunga il più elevato tra tutti quelli assegnati con decisioni arbitrali a investitori ucraini per il sequestro illegale di beni, e gli interessi continueranno a maturare fino a che la somma non sarà stata interamente riscossa.

Forte di questi risultati e non essendo ancora riuscita a farsi pagare il risarcimento, Naftogaz sta ora adoperandosi per ottenere conferma ed esecuzione del lodo arbitrale negli Stati Uniti, dove spera di recuperare i 5 miliardi di dollari (se non completamente, almeno in parte) rivalendosi sui patrimoni russi posti sotto sequestro in America dopo lo scoppio della guerra.

È di qualche giorno fa la notizia che l’amministrazione Biden è pronta a scongelare asset russi per 60 miliardi di dollari per destinarli alla ricostruzione delle città e delle infrastrutture ucraine, anche se i repubblicani continuano ad opporsi a nuovi aiuti militari a Kiev. Bisogna capire come si orienterà su questa materia il Tribunale di Washington, ovvero se autorizzerà Naftogaz ad aggredire i patrimoni russi bloccati per le sanzioni.

Da una nota pubblicata di recente sul sito di Naftogaz emerge che un invito a comparire davanti ai giudici americani il 23 febbraio è stato notificato al Cremlino attraverso i canali diplomatici; sempre che i delegati russi decidano di non disertare l’udienza.

In questa fase Naftogaz sta investendo per aumentare la produzione nazionale di metano, per migliorare la sicurezza dei suoi approvvigionamenti e per convertire il paese da territorio di transito del gas russo in area di stoccaggio, estrazione, trasporto e distribuzione di energia al servizio dell’Unione europea; obiettivi strategici ribaditi al recente forum mondiale di Davos dall’amministratore delegato Oleksiy Chernyshov (nella foto).

La società sta offrendo parte della sua ingente capacità di stoccaggio di gas (pari in totale a 30 miliardi di metri cubi) a trader europei del settore. Nel 2023 ne ha venduto per 2,5 miliardi di metri cubi e potrebbe arrivare a cederne fino a 10 miliardi di metri cubi. Le sue caverne sotterranee di immagazzinamento del gas, di cui una nella provincia di Lugansk, conquistata dalla Russia, sono il suo punto di forza: costituiscono il più grande sistema di stoccaggio d’Europa e il terzo al mondo.

La costituzione di scorte strategiche di gas negli stoccaggi ucraini aiuta i paesi dell’Unione europea a tenere alte le loro riserve e a ridurre il rischio di svuotamento degli stoccaggi nazionali in caso di prolungata rigidità invernale. È evidente che un risarcimento di 5 miliardi di dollari sarebbe un propellente formidabile sia per l’impegnativo programma di investimenti di Naftogaz sia per le casse pubbliche stremate da una guerra di cui non s’intravede la fine.

La società detiene 140 giacimenti di idrocarburi in dodici regioni, molti dei quali in esaurimento; ha in corso attività esplorative nel Mar Nero; detiene un’estesa rete di oleodotti per il trasporto del greggio alle raffinerie ucraine e ai paesi dell’Europa centrale e orientale; è attiva nella raffinazione e nel commercio di petrolio e prodotti petroliferi. E nel 2023 ha versato in imposte 2,2 miliardi di euro (90,2 miliardi di grivnie ucraine) fornendo il suo contributo allo sviluppo economico del paese. Nel 2021, l’anno prima della guerra, aveva contribuito per il 17% alle entrate dello Stato.

Le lungaggini dell’arbitrato sulla Crimea rendono l’idea dei problemi ai quali andranno incontro le società petrolifere europee in lite con la Russia per le interruzioni delle forniture di gas dalla Siberia durante la guerra (forniture regolate da contratti di lunghissimo termine con clausole take or pay, ritira il gas oppure pagalo). Il contenzioso con l’’Eni potrebbe aggirarsi sui 12 miliardi di euro. La russa Gazprom giustifica il calo dei flussi invocando la clausola di forza maggiore; l’ Eni accusa Gazprom di averlo provocato per manipolare i prezzi e creare instabilità politica nella Ue dopo l’invasione dell’Ucraina. Chissà quanto tempo dovremo aspettare per sapere chi avrà avuto torto e chi avrà avuto ragione. L’unica cosa certa sono le parcelle arcimilionarie degli avvocati, per la gioia dei grandi studi legali internazionali. (riproduzione riservata).

Milano Finanza, n. 25, pag. 19 del 3 febbraio 2024