Con i venti anni di reclusione per Calisto Tanzi chiesti dai magistrati di Parma e con le imminenti arringhe delle difese, il processo sulla bancarotta della Parmalat entra in dirittura d'arrivo.  Mi riservo tra l'altro di pubblicare nei prossimi giorni, non appena sarà disponibile la trascrizione stenografica, una serie di approfondimenti sulla requisitoria dei pubblici ministeri, e se nel frattempo volete documentarvi ulteriormente potete consultare anche, alla voce "Parmalat" di questo blog, il materiale sul processo per aggiotaggio che è stato celebrato a Milano. C'è però una domanda su cui batto da anni, che si ripropone drammaticamente in questi giorni. Sarebbe potuto avvenire un crack da 14 miliardi di euro se Tanzi, i manager a lui più vicini, i consiglieri d'amministrazione di Parmalat Finanziaria e di Parmalat Spa, i rappresentandi del collegio sindacale, i revisiori, ritenuti tutti più o meno colpevoli dalla Procura di Parma, non avessero agito con il sostegno delle banche? Io, molto modestamente, continuo a pensare di no, continuo a credere che l'aiuto di alcune banche d'investimento americane e di alcuni istituti di credito, anche italiani, sia stato determinante per la sopravvivenza della Parmalat negli anni '90. Purtroppo questi processi, alcuni probabilmente tuttora allo stato di indagini, saranno celebrati separatamente. La difesa di Tanzi aveva chiesto, durante l'udienza preliminare, che i vari spezzoni processuali confluissero in un unico maxidibattimento e che sul banco degli imputati sedesse, accanto a Tanzi, qualche banchiere eccellente. I Pm hanno obiettato che questo era un tentativo surrettizio di mandare il processo per le lunghe e per fare in modo che i reati cadessero in prescrizione. Probabilmente hanno avuto ragione loro. Però adesso mi aspetto che i processi contro le banche procedano speditamente.  Altrimenti tutto si risolverà nella solita farsa all'italiana.