Non possiamo certo dirci un paradiso fiscale, anche se a pagare le tasse, in Italia, sono sempre i soliti fessi: lavoratori dipendenti e pensionati. La massa o evade o elude, e chi di soldi ne ha tanti li porta a Panama o a Singapore o in Lussemburgo o in Liechtenstein, magari via Svizzera. Un paradiso penale, però, lo siamo, eccome: leggere l’intervista di Roberto Scarpinato, procuratore generale di Palermo, sul “Fatto quotidiano”. Paradiso, ovviamente, solo per alcuni: per la creme, per le cosiddette élite, per le classi dirigenti, per i colletti bianchi delle mafie che operano ormai ai massimi livelli dell’economia e della finanza e sono parte integrante del sistema, non più degli infiltrati. Invece di aggredire la corruzione e l’evasione, che valgono centinaia di miliardi, i governi per stare dentro i parametri dell’Unione europea tagliano la spesa pubblica: i servizi al cittadino, la sanità, gli ospedali, l’assistenza agli anziani, le scuole, le università, i trasporti e via elencando. Cioè si taglia la spesa a favore del cittadino medio per consentire a questa élite corrotta di continuare a rubare. E si legifera per ridurre al minimo i costi penali di chi ruba. I reati si prescrivono in pochi anni e la prescrizione non scatta nel momento in cui sono accertati, ma nel momento in cui sono commessi. Per cui, spiega Scarpinato, “se oggi commetto il reato di traffico di influenze illecite e vengo scoperto tra cinque anni, è fatta: siccome il reato si prescrive in sette anni e mezzo al massimo, ai magistrati ne restano solo due e mezzo per arrivare a condannarmi”. I processi mediatici hanno solo un valore sociale catartico, sono l’illusoria compensazione dell’impotenza dell’azione penale. I corrotti in Italia la fanno franca, al massimo qualche mese di carcere e un po’ di gogna mediatica, magari un patteggiamento, i servizi sociali, e poi sempre più di frequente sono reimmessi in circolo, talvolta nelle stesse posizioni che occupavano al momento della commissione reato. E, se il reato va in prescrizione, l’illecito provento resta nella disponibilità del corrotto. Peraltro, dice Scarpinato, la corruzione epidemica alimenta anche la convinzione che tutto ciò che è pubblico è corrotto, contribuendo così alla svendita di beni statali di pregio e alla pubblicizzazione di beni privati già depredati. Scarpinato poi indica una serie di misure al governo per contrastare la corruzione: misure normative analoghe a quelle utilizzate per la lotta contro la criminalità organizzata.