Il “Qe” (quantitative easing), la politica di allentamento monetario avviata dal presidente della Bce, Mario Draghi, dovrebbe servire da stimolo all’economia, favorendo una maggiore circolazione di liquidità sui mercati e facilitando l’accesso al credito da parte di cittadini e imprese. Gli effetti per l’Italia dovrebbe essere salutari anche grazie alla svalutazione dell’euro, che agevola le aziende esportatrici, e al crollo del prezzo del petrolio, i cui benefici sulla bolletta energetica nazionale sono tuttavia contenuti dalla concomitante rivalutazione del dollaro (la moneta che regola gli scambi di greggio). Se però guardiamo al carico fiscale che pesa sul contribuente, l’ottimismo cede subito il passo alla cautela, alla prudenza.
Il contribuente è allo stremo, le imposte sono in continuo aumento, l’economia reale boccheggia. Il clima di fiducia, quello vero, che si respira andando in giro per le grandi città nei luoghi frequentati dalla gente comune, è ai minimi termini e sono alquanto scettico sui poteri miracolistici dell’Expo. Alcuni giovani, contattati per lavorare all’interno dell’Expo, mi hanno riferito che hanno avuto proposto un contratto part-time, ma con l’accordo tacito che bisognerà sgobbare tutto il giorno. L’Expo rischia di tramutarsi in una bolla, nell’ennesima illusione. Ma questo è un altro discorso. Ritorniamo al nostro ragionamento di partenza.
Parlavo qualche giorno fa con Michele De Gaspari, uno dei maggiori esperti di analisi della congiuntura, uno studioso di statistica economica, con cui cominciai a lavorare nel lontano 1982 al settimanale “Mondo Economico” e al quale mi legano forti sentimenti di stima e di amicizia. Michele osserva come questa prolungata recessione abbia messo in crisi il concetto stesso di congiuntura, che rappresenta l’alternarsi di fasi di espansione a fasi di contrazione dell’economia. L’edilizia e le costruzioni, settori cardine dell’economia nazionale, sono bloccati, perché le banche concedono i mutui con il contagocce. Le piccole imprese, con buona pace dei banchieri che sostengono il contrario, sono tagliate fuori dai finanziamenti bancari. Sono gli imprenditori stessi a denunciarlo. Nessuno ha la ricetta per far ripartire la domanda di beni e servizi. La politica anti-deflazionistica di Draghi è senz’altro una strada da battere, ma l’altra leva da azionare per stimolare la ripresa, insieme a quella monetaria (al “Qe”), è quella fiscale. E Draghi non ha alcun potere su questo. La palla è interamente nelle mani del governo Renzi.
Le imposte sui redditi sono il dato chiave per comprendere la gravità della stagnazione dei consumi nazionali. La causa principale della stagnazione della domanda risiede infatti nella distorsione, verificatasi negli ultimi venti anni, nel nostro sistema impositivo. In Italia, appena si arriva a guadagnare 28mila euro l’anno, l’aliquota marginale – dice De Gaspari – balza oltre il 40% (il 38% quella erariale, più le aliquote regionali e comunali), un record mondiale. In Francia e in Germania, l’aliquota marginale del 40% scatta invece tra i 170mila e i 200mila euro l’anno di reddito. In Francia e in Germania, il netto in busta paga dei redditi tra i 50mila e i 100mila euro è molto più elevato che in Italia. Con 80mila euro lordi l’anno, l’aliquota media arriva, in Italia, al 40%; a parità di stipendio, la stessa aliquota è inferiore, in Francia e in Germania, di dieci punti. In Italia, chi guadagna più di 75mila euro l’anno, è falcidiato da un’aliquota fiscale del 46%, se consideriamo anche l’addizionale Irpef delle Regioni.
Per ridare respiro alla domanda, più che il “quantitave easing” (o “Qe”), occorrerebbe una coraggiosa riforma fiscale, altro che gli 80 euro di Matteo Renzi! A cosa sono serviti gli 80 euro? Di certo, non a far ripartire l’economia. E in quanti ne hanno beneficiato? Gli interessati al bonus, secondo le stime di De Gaspari, sono tra i 7 e gli 8 milioni, un numero molto distante dai 10 milioni stimati dal governo. Per di più il bonus vale fino a 25mila euro, mentre le fasce di reddito più interessanti per la ripresa del potere d’acquisto delle famiglie, e di conseguenza della domanda, sono quelle comprese tra i 30mila e gli 80mila euro l’anno, cioè le fasce di contribuenti maggiormente colpite dal fisco. FINE DELLA PRIMA PUNTATA