L’indiscrezione che circola in ambienti vicini a Confindustria è che Gabriele Del Torchio, amministratore delegato del Sole 24 Ore, starebbe per lasciare l’incarico conferitogli appena quattro mesi fa e che il suo posto potrebbe essere offerto all’ex direttore generale della Rai Luigi Gubitosi. Se così fosse, non sarebbe un bel segnale. Del Torchio ha imboccato, fin dal primo giorno del suo insediamento, la strada della trasparenza, mettendo a nudo la drammatica realtà dei conti del Gruppo 24 Ore. Se Confindustria in questo momento gli negasse la garanzia di poter continuare l’opera di pulizia del bilancio, senza sconti per alcuno, sarebbe come un invito a dimettersi.
Quello che ci si deve augurare come giornalisti, come azionisti e come lettori, ma che dovrebbe augurarsi anche Confindustria, è che ciò non accada. Quando un amministratore delegato di fresca nomina che sta facendo bene il proprio lavoro se ne va, significa che nell’azienda c’è un malessere molto profondo e che è in atto nella compagine azionaria uno scontro di potere tra fazioni alle quali, prima ancora che il destino del giornale, prima ancora che la sua indipendenza e la sua autorevolezza, interessa poterlo controllare e pilotare.
Del Torchio, a differenza di altri che sono stati indicati nella lista per l’elezione del nuovo consiglio, non è compromesso con la vecchia gestione del Gruppo 24 Ore. Anche se a designarlo è stato Giorgio Squinzi, autonominatosi presidente del Sole 24 Ore mentre stava per scadere il suo mandato di presidente di Confindustria, Del Torchio ha dimostrato di avere operato nell’interesse dell’azienda e di tutti gli “stakeholder”, a meno che non si dimostri che abbia drammatizzato lo stato dei conti per spianare la strada alla cordata guidata dallo stesso Squinzi, che puntava a partecipare alla ricapitalizzazione di via Monte Rosa. Che questo fosse il disegno di Squinzi e di altre cordate concorrenti che non hanno ancora calato le carte in tavola, non è un segreto; che Del Torchio possa avere forzato il bilancio per farlo apparire peggiore di quanto non sia è una madornale sciocchezza. C’è semmai da augurarsi che l’amministratore delegato abbia individuato tutte le aree di perdita e che abbia avuto il tempo di valutare a fondo ogni singola posta e in modo particolare quella dei crediti, che potrebbero rivelarsi un terreno minato. E’ infatti assurdo che un’azienda costantemente in perdita da anni continui ad esporre un elevato ammontare di crediti. Perché non li riscuote?
Lasciando andar via Del Torchio, il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, darebbe un pessimo segnale, come se volesse interrompere l’operazione verità intrapresa dall’amministratore delegato. Se il bilancio nascondesse altri “errori” – eufemismo ricorrente nell’ultimo comunicato aziendale per definire le rettifiche di alcune voci degli esercizi precedenti – bisognerebbe farli emergere prima dell’aumento di capitale. E Del Torchio da questo punto di vista rappresenta una garanzia soprattutto per chi dovrà farsene carico.
Respinta l’offerta della cordata Squinzi, vicina al centrodestra, sembra che Boccia stia lavorando per imbarcare nel capitale del Sole 24 Ore, accanto alle associazioni territoriali più ricche di Confindustria, un gruppo di azionisti amici vicini alle posizioni dell’attuale governo. Il capocordata di questo gruppo di amici sembra sia stato individuato nell’editore del Messaggero, Francesco Gaetano Caltagirone, che in Confindustria può contare sul sostegno congiunto di Paola Severino, attuale rettore della Luiss e suo avvocato di fiducia, e di Marcella Panucci, voluta da Squinzi alla direzione generale della confederazione degli industriali, che proprio della Severino ministro della Giustizia del governo Monti fu responsabile della segreteria tecnica.
Boccia, però, dovrà fare i conti con i settori di Confindustria che hanno sostenuto il suo avversario alla presidenza e che prima di sborsare un euro vogliono conoscere bene la reale situazione economico-finanziaria del Sole 24 Ore. E soprattutto dovrà evitare che una scelta sbagliata o soltanto inopportuna provochi la reazione delle associazioni territoriali più forti che potrebbero essere tentate di staccarsi da Roma per costituire una sorta di Confindustria del Nord. La geografia confindustriale è molto cambiata in questi anni. Con la fusione delle Confindustrie di Bologna, Ferrara e Modena è nata la seconda associazione datoriale italiana dopo Assolombarda. Le Confindustrie di Verona e Vicenza e l’Unindustria di Treviso operano già come un sistema aperto, rappresentano una sorta di Schengen associativa: un imprenditore di quest’area può rivolgersi indifferentemente a ciascuna delle tre associazioni indipendentemente dalla sua provincia di appartenenza. Se uno di questi soggetti forti lanciasse un progetto di aggregazione su base regionale o pluriregionale, la centralità di Confindustria e le sue funzioni di coordinamento strategico sarebbero compromesse. A dare linfa a questi progetti potrebbe essere la trasformazione delle attuali Regioni in poche macro-Regioni, progetto che Matteo Renzi tiene nel cassetto, ma che non esiterebbe ad attuare in caso di vittoria del “Si” al referendum costituzionale.
Boccia dovrà pertanto agire con cautela sulla vicenda del Sole 24 Ore, perché gestita con scarsa sensibilità nei confronti di tutte le parti in causa potrebbe rappresentare l’innesco di un processo di riaggregazione delle forze interne a Confindustria. Che con la sua progressiva burocratizzazione e la sua progressiva autoreferenzialità ha finito per scavare un fossato tra sé e la base dei propri iscritti.