Non vorrei che Matteo Renzi, per dare l'immagine del grande cambiamento al vertice delle società di Stato, covasse l'idea di far salire alla presidenza di queste aziende gli attuali amministratori delegati, sostituendoli con figure interne più giovani. Prendiamo il caso politicamente più imbarazzante per Renzi: quello di Paolo Scaroni, che chiede da mesi a gran voce di essere rinnovato per la quarta volta alla guida dell'Eni.
Indipendetemente dai giudizi di merito che si possono dare sulla gestione industriale di Scaroni e sul suo presunto coinvolgimento nell'inchiesta giudiziaria sulla Saipem, l'uomo di certo non è più un giovincello (managerialmente parlando). E' sulla piazza da decenni. Prima dell'Eni, dove è approdato nove anni fa, ha guidato l'Enel, e prima ancora l'inglese Pilkington e la Techint Italia. Riconfermarlo farebbe a pugni con la promessa del ricambio generazionale sbandierata dal "rottamatore" fin dal suo sbarco in politica. Per di più Scaroni è vicino a Silvio Berlusconi, che lo designò a metà del 2005, dando il benservito a Vittorio Mincato. Se Renzi lo riproponesse come amministratore delegato dell'Eni si direbbe che lo avrebbe fatto per rendere un favore ad Arcore. Berlusconi è infatti sensibile al tema dell'energia. Il fondatore di Forza Italia non ha mai smentito le indiscrezioni che gli attribuiscono interessi personali nel settore del gas come ricaduta dei suoi rapporti con il presidente russo, Vladimir Putin. E credo che non vada lontano dal vero chi sostiene che il problema del rinnovo del vertice dell'Eni sia aleggiato nell'incontro Renzi-Berlusconi che ha preceduto l'incoronazione del sindaco di Firenze a presidente del Consiglio.
Insomma, la partita delle nomine pubbliche è molto delicata per Renzi, perché ne va della sua immagine e del suo rapporto con Berlusconi; senza il cui appoggio in parlamento l'accordo sulle riforme andrebbe a farsi benedire. Una soluzione per salvare capra e cavoli potrebbe essere quella, appunto, di spostare Scaroni alla presidenza, privandolo sulla carta dei poteri esecutivi, e di affidare la carica di amministratore delegato ad un interno. Il ruolo operativo di maggiore responsabilità è ricoperto da Claudio Descalzi, direttore generale della divisione Exploration & production. Si delineerebbe in tal caso il progetto che Mincato aveva in mente per sé nel 2005 e che non gli riuscì: salire al piano superiore, spogliandosi di qualsiasi delega operativa, per cedere la poltrona di capo azienda a Stefano Cao, che allora ricopriva lo stesso incarico di Descalzi.
Speriamo che Renzi non stia pensando a una soluzione del genere per poi magari riprodurla anche ai vertici di Enel, Finmeccanica e Terna. Altrimenti saremmo di fronte all'ennesima operazione gattopardesca: cedere lo scettro del comando per continuare a comandare dietro le quinte. Alla faccia del ricambio generazionale.