Ci si interroga sul futuro di Mediobanca dopo che l'istituto avrà disdettato i patti di sindacato ai quali aderisce e dismesso le proprie partecipazioni azionarie, a cominciare da quella in Telco (holding di controllo di Telecom Italia), di cui Telefonica de Espana ha assunto il comando.


Mediobanca ha esaurito da un pezzo il ruolo storico di camera di compensazione del capitalismo italiano. Continuerà a mantenere una quota determinante in Generali, il gigante assicurativo di Trieste di cui si serviva per intervenire e pilotare i grandi affari e le grandi operazioni finanziarie. Ma non è più il centro del sistema finanziario. Il sistema è ormai policentrico.

La vecchia Mediobanca, che era stata gestita dal management in totale autonomia grazie ad un complesso sistema di autocontrollo e che aveva fatto dei suoi grandi azionisti i suoi principali clienti, aveva smesso di essere il crocevia dell'alta finanza già prima della scomparsa di Enrico Cuccia. Il declino apparve chiaro alla fine degli anni '90 quando Cuccia si vide costretto a cedere la Comit al gruppo Intesa. Da quella battaglia, che segnò simbolicamente la capitolazione della finanza laico-massonica e il momento della riscossa della finanza cattolica, Mediobanca uscì perdente e ridimensionata. L'altro colpo micidiale, che ne ruppe il monopolio delle operazioni, le fu inferto dal Testo unico della finanza, il complesso di norme predisposto dall'allora direttore generale del Tesoro, Mario Draghi, attraverso il quale i patti di sindacato, pensati per rendere inattacabile il sistema di interessi che orbitava intorno a Mediobanca, erano dichiarati decaduti al momento del lancio di un'Opa, ovvero in caso di scalata ostile. Toccò a Vincenzo Maranghi, dopo la morte di Cuccia, prendere atto che un processo storico s'era concluso, che la strada dell'indipendenza del management che decide da sé le strategie della banca non era più percorribile, che gli azionisti intendevano riappropriarsi del loro ruolo di indirizzo. Infatti dovette rassegnare le dimissioni.

Da quel momento è cominciata per Via Filodrammatici una lunga fase di transizione culminata di recente nella crisi di alcuni suoi (ex) controllori-controllati come FonSai, accasata con Unipol per mettere al sicuro il prestito da un miliardo erogato da Mediobanca all'ex gruppo assicurativo della famiglia Ligresti.
Insomma, con la vendita delle partecipate Mediobanca dovrà recuperare almeno 2 miliardi che le evitino un aumento di capitale e dovrà essere una banca sempre più competitiva e redditizia per distribuire ai propri soci una quota crescente di utile.

Che fare, dunque? Tra le diverse strade che potrebbero essere battute, una fonte che occupa una posizione di rilievo in  uno dei più grandi gruppi bancari italiani azzarda l'ipotesi di un avvicinamento ad UniCredit, primo azionista di Mediobanca. L'unico strumento di cui dispone oggi l'istituto di Via Filodrammatici per la raccolta di denaro è CheBanca!, banca di credito al dettaglio via Internet. Ci vorrebbe ben altro per compiere un salto dimensionale. Un'ipotesi potrebbe essere appunto quella di un accordo con UniCredit, a favore del quale potrebbe adoperarsi, a pensarci bene, Fabrizio Palenzona, vicepresidente della banca di piazza Cordusio, che continua ad esercitare un'influenza notevole sul vertice di Mediobanca nonostante il decreto Monti sulle incompatibilità tra cariche in conflitto d'interesse lo abbia costretto a dimettersi dal consiglio d'amministrazione. Se un'intesa del genere andasse in porto – e per andare in porto avrebbe bisogno, tra l'altro, dell'appoggio dell'amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel -, chissà, un domani, potrebbe magari sfociare in una fusione.
Attenzione, però, questo è solo uno scenario al limite della fantafinanza, partorito da una mente speculativa. Anche se accade sempre più spesso, in finanza come in politica, che la realtà finisca per superare l'immaginazione.