Lavoro nero, evasione contributiva e fiscale, giro di contante, violazione di norme contrattuali, flessibilità selvaggia.
La testimonianza di Giulietto, cameriere in un ristorante del centro di Roma, è uno spaccato del mondo del lavoro capitolino di una crudezza impressionante. Giulietto, nome di fantasia che abbiamo attribuito alla nostra fonte, un cinquantenne del Sud, diplomato, che risiede a Roma da anni. Il suo racconto è una storia di quotidiana e ordinaria illegalità. Dove per sei euro l’ora bisogna trottare e sorridere. Dove non ci si può ammalare pena il licenziamento. Dove si lavora tutti i santi giorni dell’anno dalle undici del mattino a mezzanotte, festivi compresi. Dove i diritti dei lavoratori e la dignità della persona sono calpestati, offesi.
Il ristorante appartiene a Tiberio, altro nome di fantasia, uno che ha esordito vendendo chincaglieria negli autobus e che ha finito per arricchirsi: soldi, auto di lusso, moto, viaggi, stipendi per l’intera famiglia e un notevole patrimonio immobiliare. Giulietto ce ne illustra l’organizzazione del lavoro. Quanti siete? “Cinque in cucina, filippini e bengalesi, dei quali il lavapiatti pagato in nero e gli altri con un contratto di falso part-time, ossia collocati per quattro ore, ma a sgobbare dalle dieci a mezzanotte. Altri sei, me compreso, servono ai tavoli, di cui quattro a loro volta pagati in nero e due assunti con il solito sistema dei falsi part-time, cioè collocati per quattro ore, ma al lavoro per otto. Poi c’è la mamma di Tiberio, collocata come cassiera a 1.800 euro al mese, che però non viene mai, pur essendo intestataria della licenza, e che prende pure l’indennità di disoccupazione. E poi c’è un romeno, formalmente assunto come aiuto cuoco, per garantirgli l’assistenza sanitaria, che invece si occupa, sempre in nero, dei lavori di falegnameria e idraulica negli immobili di proprietà del titolare. In tutto, i dipendenti effettivi siamo tredici”. E quanto vi pagano? “In cucina, 700 euro al mese; in sala, 900. Per contratto mi spetterebbero 8 euro l’ora, invece in busta paga me ne arrivano poco più di sei, ma compresi i ratei di tredicesima e quattordicesima e il bonus di 80 euro approvato dal governo Renzi. E sono costretto a lavorare i sabati e le domeniche, anche se per legge non dovrei. La differenza, tra paga contrattuale ed effettiva, mi viene liquidata in contanti, cioè in nero”. E ricevete regolarmente lo stipendio? “No, a volte ci paga con un mese di ritardo, e in tutto questo non ho mai visto un controllo, né da parte dell’Inps, dove hanno pure un’amica, né da parte della Finanza o dei Vigili urbani. C’è un clima di connivenza bestiale tra ristoratori, politici e forze dell’ordine”. Quanto fattura un locale del genere? “In media, 3mila euro al giorno. Considerato che siamo aperti tutti i giorni, 90mila euro al mese. Oltre un milione l’anno. E per pagare l’affitto gli basta l’incasso di un giorno. Una volta ci ha detto in una botta di rabbia che noi dipendenti gli costiamo 250mila euro l’anno. Credo che il suo margine lordo sia del 50%, fatto per la maggior parte in barba al fisco. Mi chiedo a cosa servano gli studi di settore dell’Agenzia delle entrate se poi uno può evadere così sfacciatamente e impunemente”. Come fai a conoscere questi numeri? “Non è difficile se hai un minimo di cervello e se ti capita, come succede a me, anche di battere gli scontrini alla cassa. Ti devi adattare a tutto, qui”. Come passa le giornate Tiberio? “A fare gli affari suoi e a mangiare nei migliori ristoranti di Roma. Qui non c’è quasi mai, gli gestiamo tutto noi. Passa solo a ritirare l’incasso, ma sta sempre al telefono o al computer. Per giunta, adesso, sta aprendo un altro locale, sempre centralissimo, dove vorrebbe portarci a fare il doppio turno. Ma può stare fresco”. Come vedi il tuo futuro? “Come vuoi che lo veda? Come uno che non avrà mai una pensione. Tiro avanti in questo modo da una vita e nonostante trent’anni di esperienza lavorativa mi ritrovo con pochi contributi versati. Posso solo sperare in un colpo di fortuna”.