I provvedimenti a tutela della salute dei cittadini giustamente adottati dal governo Conte per circoscrivere l’epidemia di Covid-19 avranno effetti negativi sull’economia nazionale. I settori industriali più colpiti come quello del turismo chiedono il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali e la loro estensione ai comparti produttivi che ne sono sprovvisti. E l’Unione europea dovrebbe permetterci di sforare il rapporto decit/Pil per consentirci di liberare risorse dal nostro bilancio pubblico, da destinare agli investimenti. Il governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha dichiarato che l’emergenza sanitaria potrebbe far scendere il Pil dello 0,4 per cento. In questa ipotesi – calcola la Cga di Mestre – il calo di ricchezza per l’Italia potrebbe aggirarsi sui 7 miliardi. Queste stime potrebbero tuttavia peggiorare in corso d’anno, quando si avrà un quadro più chiaro dell’andamento dell’economia nazionale.
Il problema è che la sempre più probabile recessione, di cui si preconizzava l’arrivo già prima dell’insorgere dell’epidemia, si intreccia con la perdurante stretta creditizia e con il mancato pagamento delle imprese fornitrici della pubblica amministrazione. La stessa Cga riferisce che tra il dicembre 2018 e lo stesso mese del 2019, ovvero l’anno passato, gli impieghi bancari al netto dei crediti in sofferenza sono scesi in Italia di quasi il 5% (33 miliardi in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) e che il debito della pubblica amministrazione verso i suoi fornitori sarebbe – secondo stime di Banca d’Italia – di 53 miliardi, di cui metà imputabili a violazioni dei tempi di pagamento (che non dovrebbero superare i trenta giorni e solo nel caso della Sanità i sessanta giorni).
Si stenta a credere che in una fase così problematica per l’economia il sistema bancario continui a negare ininterrottamente dal 2011 il credito alle imprese e a trattenere per sé e per i propri azionisti tutti i profitti.

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