Dentro Veneto Banca fu scaricata Popolare di Intra, sospettata di riciclaggio di denaro sporco e di aver finanziato soggetti collegati ai cartelli colombiani (nella foto, il centro direzionale di Montebelluna). Ecco l’inchiesta di Morya Longo e Giuseppe Oddo pubblicata dal Sole 24 Ore il 21 dicembre 2001.
Sono stati, dopo la Finpart, tra i principali clienti della Banca Popolare di Intra. Giorgio Sale e i figli Christian e Stefano, a capo di alcune società commerciali che operano tra l’Italia e la Colombia, erano stati finanziati dall’istituto di Verbania per diretta decisione dell’allora direttore generale Giovanni Brumana. Nel novembre scorso sono stati arrestati per associazione a delinquere di stampo mafioso e traffico internazionale di cocaina nel corso di un’inchiesta (nome in codice Galloway Tiburon) che vede indagato anche Massimo Cragnotti, il figlio del bancarottiere della Cirio Sergio Cragnotti.
Sulla sponda piemontese del lago Maggiore, i Sale hanno lasciato un “buco” di circa 20 milioni di euro: crediti in sofferenza interamente svalutati nel bilancio della banca. La tecnica per spolpare la Intra era la stessa adottata per Finpart. Intorno a Brumana – in carcere per il crack della holding guidata da Gianluigi Facchini – ruotava un gruppetto di “investitori” amici che egli finanziava a piene mani con decisioni assunte in modo autonomo e con un consiglio d’amministrazione colpevolmente assente. Tra questi, accanto a Finpart, figurava Giorgio Sale. E, com’è successo per Finpart, il denaro dato in prestito non tornava mai indietro. Con questo sistema, alla fine del 2005, la Popolare di Intra è stata trascinata sull’orlo del collasso.
Giorgio Sale, nato a Roma 63 anni fa, ma residente a Cartagena de Indias, in Colombia, era diventato uno dei primi clienti della banca. Faceva parte di un gruppo di imprenditori romani con cui Brumana aveva legato nel periodo trascorso alla filiale capitolina del Banco Lariano e che aveva trascinato con sé, a Intra, dopo essere stato nominato al vertice dell’istituto di Verbania.
È lo stesso Brumana ad ammettere, di fronte al Gip di Milano Piero Gamacchio che lo ha interrogato il 17 maggio, di aver inizialmente gestito in modo «personalistico» i rapporti creditizi con la famiglia Sale. I finanziamenti, per un totale di una ventina di milioni, erano andati alla Incoprit, una società domiciliata a Milano e successivamente trasferita a Ciampino (Roma), intestata a Giorgio e Stefano Sale. Le erogazioni erano cominciate nella seconda metà degli anni ’90 e si erano protratte fino ai primi anni 2000. Più fonti riferiscono che questa somma sarebbe stata impiegata nell’acquisto di immobili commerciali in Colombia, anche se nessuno è finora riuscito a ricostruirne l’iter.
In effetti nel Paese sudamericano la famiglia Sale è proprietaria di due ristoranti e di due catene di negozi d’abbigliamento che, secondo i magistrati che hanno indagato su Galloway Tiburon, facevano da paravento al riciclaggio dei proventi dei narcotrafficanti colombiani. Tra questi figurava anche Pablo Escobar, capo del potente “cartello di Medellin”. È pertanto possibile che il denaro versato dalla Intra sia finito in queste attività.
Peraltro, fonti interne alla banca ricordano di un viaggio di Brumana a Cartagena avvenuto in coincidenza con l’avvio dei rapporti con i Sale. Destinazione assai strana per un banchiere di provincia a capo di un istituto con appena 80 sportelli che dovrebbe finanziare piccole e medie imprese del territorio.
Giorgio Sale è una delle figure chiave delle 48 persone arrestate tra Italia, Spagna e Colombia durante la retata del 22 novembre scorso. I giornali colombiani ne parlano come di un personaggio molto influente che gode dell’amicizia dichiarata del presidente del Consiglio superiore della magistratura, José Alfredo Escobar, e di quella del leader dell’organizzazione paramilitare di destra “Autodifese Unite della Colombia”, Salvatore Mancuso.
Il credito della Popolare di Intra al gruppo Sale è ora al vaglio della magistratura. Il sostituto procuratore di Milano Luigi Orsi, che indaga su Finpart con la collaborazione del nucleo regionale della Guardia di Finanza, ha inviato la documentazione in suo possesso al pm di Reggio Calabria Nicola Gratteri che fino a tre settimane fa aveva guidato le indagini su Galloway Tiburon. Adesso l’inchiesta è stata trasferita per competenza a Roma, dove risiedono le società della famiglia Sale. Il dossier è allo studio del sostituto Giuseppe Amato, ma è tuttora coperto da segreto istruttorio.
Dell’anomalo finanziamento alla famiglia Sale era venuta a conoscenza anche la Vigilanza di Banca d’Italia nel corso dell’ispezione alla Intra conclusa nel settembre del 2005. In effetti, non poteva non balzare agli occhi degli ispettori di Palazzo Koch un’erogazione così consistente verso uno sconosciuto gruppo romano con interessi in Colombia. Tanto più che le voci sulle frequentazioni poco limpide di Brumana erano arrivate fino a Via Nazionale. Bankitalia, allarmata, aveva subito allertato il comitato per il controllo interno della Intra, i cui accertamenti hanno poi avuto come conseguenza l’azzeramento del credito.
Il consiglio d’amministrazione della Popolare di Intra deve ora decidere se spedire la documentazione alla Procura. Anche perché quello del gruppo Sale è un caso tutt’altro che isolato. Analoghe procedure di finanziamento sono state utilizzate, come si diceva, nei confronti del gruppo Finpart e delle famiglie Facchini e Mazzola, che hanno ottenuto più di 300 milioni di euro sia in forma diretta sia attraverso prestanomi che servivano ad occultare all’organo di vigilanza la reale destinazione dei finanziamento.
Un altro caso di crediti, per così dire, a fondo perduto è quello nei confronti «della signora Spera di Roma del gruppo Avant» (la notizia emerge dall’ordinanza d’arresto di Brumana): altri 40 milioni trasformati in sofferenze. E ancora più eclatante è il caso del Centro mutui di Gallarate. Questo è uno dei capitoli ancora oscuri della vecchia gestione della banca. Sono stati scoperti, infatti, numerosi mutui erogati a soggetti extra-comunitari con procedure, anche in questo caso, anomale: perizie degli immobili gonfiate e pratiche irregolari compilate in modo sommario. Molti di questi mutui sono ormai inesigibili, ma l’ammanco complessivo è in via di definizione. Anche qui, la banca ha in corso un’indagine interna.
Morale: un piccolo istituto locale quotato in Borsa ha elargito crediti a destra e a manca per importi consistenti, ha finanziato persone indagate per presunti legami con la malavita, per volontà di un’alta dirigenza che gestiva la banca in modo autoritario eludendo le corrette procedure di credito.
Tutto questo è avvenuto sotto gli occhi della Consob e dell’organo di vigilanza bancaria senza che per anni nessuno abbia mosso un dito (almeno fino all’ispezione del maggio-settembre 2005). Ad alzare il velo sulle vicende della Popolare di Intra è stata soprattutto la magistratura. Purtroppo, però, i buoi erano già scappati dalla stalla.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: ultimi bilanci in perdita, pesanti svalutazioni su crediti, patrimonio di vigilanza eroso. E un processo di aggregazione in itinere con Veneto Banca, che, nella speranza degli attuali vertici della Intra, dovrebbe portare l’istituto fuori dal guado.
I PROTAGONISTI DELL’«AFFAIRE»
L’inchiesta del «Sole-24 Ore»
Il 16 settembre 2005 inizia l’inchiesta giornalistica sulla Banca Popolare di Intra. L’istituto appare esposto per 240 milioni di euro verso il gruppo Finpart, con crediti anche verso gli azionisti e gli amministratori. All’inizio dell’ispezione condotta tra maggio e settembre da ankitalia l’esposizione dichiarata è di 110 milioni. In realtà verranno accertati crediti per circa 300 mln.
Ex azionista di controllo di Finpart
Gianluigi Facchini (nella foto), ex azionista di controllo ed ex amministratore delegato di Finpart, è indagato per il fallimento del gruppo. Arrestato in giugno, ha chiesto il patteggiamento. Con Facchini sono anche indagati alcuni ex top manager della Popolare di Intra che tra il 2001 e il 2004 hanno finanziato il gruppo Finpart eludendo le soglie imposte dalla Banca d’Italia. I finanziamenti sono stati infatti erogati a una galassia di soggetti diversi (sia persone fisiche sia società) tutti riconducibili al gruppo Finpart, in modo da nascondere la reale entità dell’esposizione.
L’ex direttore generale
Con Facchini, la scorsa primavera viene arrestato anche l’ex direttore generale della banca Giovanni Brumana (nella foto), dimessosi nel 2003. Subito dopo il suo arresto viene interdetto Claudio Ferrari, suo successore. A quel punto vengono iscritte nel registro degli indagati 15 persone, tra cui il presidente Cesare Ponti. Tutto questo ha portato alle dimissioni del presidente stesso e di altri amministratori dell’istituto. Questo ha fatto decadere il precedente consiglio di amministrazione, che è stato successivamente reintegrato dall’assemblea.
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