Snam ha grandi progetti nel biometano (articolo scritto il 17 gennaio 2019).
Il biometano è il gas rinnovabile che può essere estratto dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani oltre che da biomasse agricole e agroindustriali e che può avere un ruolo essenziale nel processo nazionale di decarbonizzazione. Ma è corretto, è opportuno, che una società di Stato che ha il monopolio legale del trasporto del gas naturale reinvesta i profitti in settori esposti alla concorrenza?
Snam ha acquisito Ies Biogas, impresa leader negli impianti di biogas e biometano, e nel suo piano strategico fino al 2022 dichiara che investirà 100 milioni anche con altri operatori in infrastrutture di produzione di biometano da rifiuti urbani o scarti agricoli. Si tratta di un’area di business promettente “come dimostrano i tre impianti già collegati alla rete nazionale di trasporto e le oltre 800 manifestazioni di interesse per nuovi allacciamenti” (sono parole dello stesso piano strategico). Nel dicembre 2018, attraverso la controllata Snam4Mobility, ha acquistato, per un valore di circa 2 milioni di euro, il 100% di Enersi Sicilia, società proprietaria dell’autorizzazione per la costruzione di un impianto di produzione di biometano da frazione organica dei rifiuti solidi urbani (Forsu) in provincia di Caltanissetta.
E, accanto al biometano, altre centinaia di milioni di investimenti saranno riversati da qui al 2022 nella mobilità, nella creazione di stazioni di servizio a metano e nel gas naturale liquefatto: attività che accompagneranno la transizione energetica dalle fonti fossili alle energie pulite.
Ora, è vero che ogni impresa deve continuare a crescere e a generare ricchezza facendo il proprio mestiere e che la spinta alla crescita è tanto più forte quanto più sono elevati i margini e gli utili dell’impresa. Da questo punto di vista Snam galleggia nei profitti. Il gruppo ha chiuso i nove mesi 2018, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con oltre 1,9 miliardi di ricavi totali (+1%) di cui 1,8 da attività regolate (+2%), con un margine operativo lordo di 1,6 miliardi (+3%), un utile operativo di oltre 1 miliardo (+2,5%) e con un utile netto di quasi 800 milioni (+5%). Sono cifre che segnalano indici di redditività stratosferici. Non sappiamo quante società possano vantare un mol pari all’84% dei ricavi.
Non c’è niente nello statuto di Snam che impedisca al gruppo di operare in questi settori, né l’Autorità di regolazione (l’Arera) o il governo le hanno mai posto vincoli al riguardo. D’altro canto, perché dovrebbero? Snam insieme ad Enel, Eni e Terna trasferiscono ogni anno tutte insieme nelle casse dell’azionista-Stato dividendi e imposte per svariati miliardi. Con i chiari di luna della finanza pubblica e con un debito pubblico che non smette di aumentare lo Stato non ha alcun interesse a comprimere i margini di chi gli porta liquidità.
Una parte dell’utile di Snam è reinvestito nella manutenzione della rete a garanzia della continuità del servizio e della sicurezza dell’approvvigionamento da paesi produttori quali Algeria, Libia, Norvegia e Russia. Ma se dopo avere spesato i costi e gli investimenti Snam continua ad avere margini di questo ordine di grandezza, chiediamoci se non sia il caso di trasferire questo grasso che cola, in parte o in tutto, agli utenti, riducendo le tariffe di trasporto e contribuendo ad abbassare i prezzi del gas. E interroghiamoci se sia conveniente che con gli utili da attività regolate un colosso di Stato quotato in Borsa sconfini in settori tendenti al libero mercato. Una riflessione da parte dell’Arera non guasterebbe.