L’ex capo della vigilanza sugli appalti aveva denunciato nel marzo 2017 all’antimafia regionale l’esistenza di un sistema corruttivo nella Sanità (Business Insider, 12 giugno 2020; nella foto, il presidente della Regione siciliana Nello Musumeci).
Aveva acceso i riflettori su Antonino Candela e Fabio Damiani in tempi non sospetti, quando i due manager arrestati dalla Procura di Palermo per presunta corruzione erano due stimati dirigenti della sanità pubblica in Sicilia. Vincenzo Pupillo dirigeva all’epoca la vigilanza sugli appalti per lavori, servizi e forniture alla pubblica amministrazione, i settori in cui alligna maggiormente l’illegalità. Quelle competenze, che allora erano ripartire tra il Servizio 1 e il Servizio 2 del dipartimento tecnico dell’assessorato alle Infrastrutture, sono state in seguito unificate.
I problemi cominciarono quando, durante un’ispezione, Pupillo ebbe la ventura di imbattersi nella Asp 6, l’Azienda sanitaria provinciale di Palermo, il grande centro di potere della sanità nell’Isola, di cui Candela era direttore generale e Damiani responsabile degli appalti.
Candela era considerato un simbolo della lotta alla corruzione. Era portato in palmo di mano da Rosario Crocetta, presidente della giunta di Palazzo dei Normanni fino all’autunno 2017, e Nello Musumeci, l’attuale “governatore”, lo aveva fatto coordinatore dell’emergenza Covid-19 a livello regionale. Anche Damiani aveva avuto un avanzamento di carriera nel corso di questa legislatura: nel dicembre 2018 gli era stata affidata la direzione generale dell’Asp di Trapani.
Racconta Pupillo, oggi direttore generale dello Iacp di Palermo:: “Un giorno del 2016 l’allora capo del dipartimento tecnico, Vincenzo Palizzolo, mi informò che dovevo lasciare l’incarico di responsabile della vigilanza. Appresi che pendeva su di me una richiesta di ricusazione firmata tra gli altri da Antonino Candela e da Fabio Damiani. Il documento, datato 15 aprile, era stato inviato in modo riservato a Palizzolo, all’assessore regionale alle Infrastrutture Giovanni Pistorio e a quello alla Salute Baldassare Gucciardi. La ricusazione è un istituto di diritto processuale a garanzia dell’imparzialità e della terzietà del giudizio, non mi risulta che trovi applicazione nella pubblica amministrazione. Comunque sia, con queste argomentazioni fui spostato e sostituito dall’ingegner Giancarlo Teresi, che da quello che leggo sui giornali è agli arresti domiciliari dal marzo 2020 per un episodio di presunta corruzione che non ha niente a che fare con la vicenda di cui parliamo. La cosa singolare è che la richiesta di ricusarmi proveniva da due dirigenti sul cui operato avevo in corso un’ispezione per provate irregolarità. Erano cioè i vigilati a chiedere la rimozione del vigilante.
Perché ce l’avevano con lei?
Per una mia relazione ispettiva del novembre 2014 su un appalto per lavori di manutenzione nel presidio ospedaliero di Palazzo Adriano, paese poco distante da Corleone, che ricade nel distretto sanitario dell’Asp 6. All’origine dell’ispezione, scattata formalmente nel 2012, c’era un esposto dell’azienda appaltatrice, la Mecoin, che lamentava di aver subito, a suo dire in modo irregolare, la risoluzione del contratto. Per il completamento dei lavori era stata chiamata la Siar, che a giudizio dell’impresa esclusa non avrebbe avuto i requisiti per continuare l’appalto. Nell’agosto 2014 il mio superiore, l’allora dirigente generale del dipartimento Fulvio Bellomo, mi chiese di trasferire al responsabile del Servizio 1 – l’architetto Domenico Palermo, di fresca nomina – le attività ispettive che mi era state assegnate, accompagnando ciascuna di esse con una relazione.
Cosa segnalò in queste relazioni?
Le illegittimità che avevo riscontrato e i nomi di coloro che avevano firmato le autorizzazioni. Nel caso di Palazzo Adriano spiccavano quelli di Candela e Damiani.
Come reagirono i due interessati?
Si risentirono molto e trasmisero una nota al capo del dipartimento e agli assessori competenti, che reputai diffamatoria. In sostanza chiedevano che non si tenesse conto della mia relazione ispettiva e che fossero assunti nei miei riguardi idonei provvedimenti disciplinari. Bellomo però non si lasciò condizionare: confermò tutto. E analoghe conferme arrivarono dall’architetto Palermo.
Cosa c’era di irregolare nell’appalto di Palazzo Adriano?
L’appalto, che aveva ricevuto un finanziamento a fondo perduto di oltre 3 milioni, presentava diciassette irregolarità, tra cui – ricordo – una variante in corso d’opera ingiustificata, l’assenza di motivi legittimi per la risoluzione del contratto con la società appaltatrice, la coesistenza di tre direttori dei lavori mentre la legge ne ammette uno e la ritardata consegna delle aree su cui l’impresa avrebbe dovuto effettuare i lavori. L’azienda appaltatrice lamentava che opere per un ammontare superiore a 350mila euro non fossero state né contabilizzate né tanto meno pagate. Per questo avevo disposto un accesso ispettivo a Palazzo Adriano per il 20 aprile 2016, ma mi fu impedito di andarci.
Perché?
Perché Palizzolo, dopo la sua nomina a dirigente generale, al posto di Bellomo, me lo proibì con un provvedimento ad hoc. E’ interessante la cronologia degli eventi: Palizzolo si insedia al vertice del dipartimento tecnico il 14 aprile, di giovedì, il giorno dopo l’Asp 6 chiede la mia ricusazione e la sospensione del sopralluogo a Palazzo Adriano, accusandomi di conflitto di interesse perché avevo denunciato per diffamazione Candela e Damiani, e il 19 aprile lo stesso Palizzolo accoglie le loro richieste senza fare una verifica, revocando il sopralluogo. Ma le cose curiose non finiscono qui. Nel gennaio 2016, a seguito del pensionamento dell’architetto Palermo, l’attività di vigilanza era ritornata sotto la mia responsabilità. Fu a questo punto che mi accorsi di un’ulteriore anomalia.
Che genere di anomalia?
Scoprii che, nell’ambito del progetto di riorganizzazione del dipartimento tecnico, era stata eliminata la vigilanza su servizi e forniture. La cosa mi mise in allarme e durante un convegno che si svolse a Milazzo il 16 aprile 2016, al quale partecipavo come relatore insieme al vicepresidente dell’Anac Michele Corradino, riferii degli inspiegabili contrasti su Palazzo Adriano e dello straordinario incremento che la spesa pubblica per forniture e servizi aveva registrato in Sicilia tra il 2012 e il 2016 a scapito dei lavori pubblici. Si tratta di un fenomeno divenuto sempre più macroscopico con il passare degli anni. Oggi servizi e forniture rappresentano il 95% della spesa pubblica per appalti in Sicilia, mentre la spesa per lavori rappresenta appena il 5 per cento.
Che effetto fece questa sua esternazione al convegno?
La vigilanza sugli appalti per servizi e forniture fu di colpo reinserita nel progetto di riassetto organizzativo del dipartimento e il deputato regionale Giorgio Assenza, che era presente al convegno, mi chiese se ero disposto a riferire tutto alla Commissione regionale antimafia, che allora era presieduta da Nello Musumeci, poi eletto presidente della Regione.
La Commissione antimafia la convocò?
Fui ascoltato nel marzo 2017 e durante la discussione sollevai anche la questione della legge regionale n. 12 del luglio 2011, che introduceva nelle gare per la fornitura di beni e servizi il principio della separatezza tra stazione appaltante e commissione aggiudicatrice. La stazione appaltante avrebbe potuto cioè nominare solo il presidente della commissione aggiudicatrice. Gli altri commissari avrebbero dovuto essere sorteggiati all’interno di un albo di professionisti costituito presso il dipartimento tecnico. La legge avrebbe dovuto impedire la nomina di commissioni compiacenti e manovrabili. Senonché nel gennaio 2012 fu modificata.
In che modo?
Con il decreto n. 13 emanato dall’allora presidente della Regione Raffaele Lombardo. Con questo provvedimento di dubbia legittimità il potere di selezionare le commissioni aggiudicatrici ritornava, per le gare di importo superiore a 1 milione 250mila euro, alla stazione appaltante. Si restitutiva cioè alla stazione appaltante la facoltà di scelta dell’intera commissione, facendo cadere ogni barriera anti-corruzione.
Sull’ispezione di Palazzo Adriano cosa disse alla Commissione antimafia?
Ne parlai in modo esplicito, chiamando in causa Candela e Damiani. Peraltro nel giugno 2016 Damiani era stato pure nominato direttore della Centrale unica di committenza per gli acquisti di servizi e forniture, nomina che confliggeva con l’altro suo incarico di direttore per gli acquisti e le forniture dell’Asp 6.
Quindi fece i loro nomi.
Ricordo che il presidente Musumeci, appena li tirai in ballo, mi chiese se per mia garanzia volevo che la seduta fosse segretata. Gli risposi che non era necessario, perché ogni mia dichiarazione era supportata da documenti. Il giorno dopo però scoprii, curiosando nel sito dell’Assemblea regionale siciliana, che la Commissione, facendo appello all’articolo 14 del suo regolamento, aveva deciso di non redigere il resoconto sommario della mia audizione.
Dopo l’audizione cosa accadde?
Palizzolo mi tolse dalla vigilanza e mi nominò responsabile del prezziario dei lavori pubblici. Anche in questa sede richiamai l’attenzione sulla crescita esponenziale della voce servizi e forniture, che nel 2017 aveva raggiunto il 91,50% della spesa, mentre i lavori pubblici rappresentavano una quota residua dell’8,50%, contro il 27,50% del 2011. Ne parlai alla riunione della Commissione prezzario del 18 dicembre 2018, che presiedevo. E’ tutto a verbale nel sito del dipartimento tecnico. Indicai anche la necessità di introdurre una serie di correttivi. Il forte aumento di valore di servizi e forniture segnalava infatti, a mio giudizio, la presenza di un sistema corruttivo in continua crescita che sottraeva risorse ai lavori pubblici, mettendone in crisi ogni sua componente: imprese, lavoratori, professionisti.
Come mai è finito allo Iacp?
Sarà una casualità, ma al termine di tutte queste mie prese di posizione non mi è stato più affidato alcun incarico dirigenziale in Regione. Chi mi ha sostituito come direttore della Commissione prezziario è stato peraltro arrestato di recente per un presunto tentativo di concussione per fatti antecedenti la sua nomina. Poi, il 1° aprile 2019, sono stato assegnato in modo temporaneo all’Istituto autonomo case popolari di Palermo su incarico del suo commissario straordinario, il dottor Ferruccio Ferruggia, e del dottor Bellomo, passato nel frattempo alla direzione del dipartimento Infrastrutture, che vigila sugli Iacp dell’intera Sicilia.
Si è gettato il passato alle spalle, insomma.
Non completamente. Pochi giorni fa ho saputo dal mio avvocato di essere stato rinviato a giudizio per diffusione di dati giudiziari.
Per quale motivo?
Per avere inoltrato al presidente della Regione, perché valutasse la possibilità di costituirsi parte civile, il provvedimento di rinvio a giudizio a carico di un consulente dell’Asp 6 che seguiva l’appalto di Palazzo Adriano e mi aveva diffamato.