"Gianmario Roveraro fu privato con la forza della propria libertà personale, ridotto all'impotenza con una scossa elettrica, caricato a forza su un'autovettura, legato e bendato". Nelle motivazioni della senteza di ergastolo contro Filippo Botteri, che all'alba dell'8 luglio 2006 assassinò il finanziere con un colpo di pistola e ne fece a pezzi il cadavere, il giudice Luigi Cerqua, presidente della prima Corte d'assise di Milano, ricostruisce le tappe dell'orrendo delitto. "Roveraro – scrive – era del tutto all'oscuro di quello che gli sarebbe accaduto quella sera d'estate". E' infatti la sera del 5 luglio 2006 che Botteri lo sequestra con l'aiuto di due complici. I tre lo catturano mentre Roveraro è a due passi dalla sua abitazione milanese di ritorno da un incontro nella sede di Crocetta dell'Opus Dei, di cui l'ex fondatore della Akros è un noto soprannumerario. Il finanziere originario di Albenga (che nel 1990 aveva collocato in Borsa la Parmalat) è caricato su di un auto e portato via nel modenese dove è tenuto prigioniero all'interno di un casello idraulico. Da lì Botteri lo costringe a fare una serie di telefonate perché recuperi un milione di euro: il prezzo della libertà. Ma il denaro tarda ad arrivare e Botteri lo uccide con un colpo di pistola alla testa mentre Roveraro gli dà le spalle.
"Le stesse modalità di segregazione della vittima, per lo più legata mani e piedi, all'interno dell'isolato casello idraulico nella campagna emiliana, dimostrano – scrive Cerqua – che la privazione della libertà personale dell'ostaggio era coatta, non di certo apparente". Roveraro "…era legato in modo saldo con lacci autostringenti, tanto che Toscani, per tagliarli, lo aveva ferito ad una caviglia con un coltello". Toscani è il complice di Botteri che assisterà al depezzamento del cadavere, sul greto del torrente Baganza, facendo luce all'assassino con una torcia elettrica dopo avergli fornito un machete.
Scrive ancora Cerqua: "…non sussisteva alcun rapporto che potesse fondare una qualsiasi pretesa di Botteri nei confronti di Roveraro, che non era un suo debitore". Il riferimento è al fallito affare anglo-austriaco e alle indebite e continue richieste di Botteri verso Roveraro per cercare di riavere il capitale dopo che l'operazione era sfumata. Botteri, nel vano tentativo di trovare una qualche giustificazione al delitto, rovescia su Roveraro la reponsabilità di quel fallimento e "…accenna a più operazioni finanziarie, sviluppatesi nel tempo, che gli avrebbero cagionato gravissime perdite". Ma è tutto falso, scrive Cerqua. Il quale, citando la sentenza di condanna dei complici di Botteri, aggiunge: "Quando l'affare anglo-austriaco sfuma, Botteri Filippo – pressato e assillato dai suoi investitori – diventa furente e scarica psicologicamente addosso a Roveraro Gianmario tutte le sue frustrazioni, ritenendolo colpevole – all'evidenza del tutto pretestuosamente e a torto – di tutti i suoi fallimenti. Lo stimolo che ha indotto Botteri Filippo ad agire è stata la rabbia provata nei confronti di Roveraro, un sentimento misto di odio e di frustrazione che si è nutrito della pregressa conoscenza occasionata dall'affare anglo-austriaco finito male". Per Cerqua non vi è "…nessun dubbio che l'azione sia stata cosciente e volontaria" né "…sono emersi in Botteri disturbi della personalità tali da poter essere considerati una vera e propria infermità avente incidenza sull'impunibilità". Insomma, l'assassino era nelle sue piene facoltà di intendere e di volere e la decisione di fare a pezzi il corpo scaturisce dall'esigenza di "…non essere scoperto, di liberarsi del cadavere e di renderlo irriconoscibile". Botteri ha agito con efferatezza, in assenza di "…qualsiasi sentimento di pietà e di pentimento per quanto commesso". Da qui la condanna, oltre che al carcere a vita, a otto mesi di isolamento durante le ore diurne.
Cala così il sipario sul delitto Roveraro. Restano invece tutte da chiarire le vicende che stanno a monte del sequestro e dell'assassinio: le circostanze che portarono l'ex amministratore delegato di Sige e Akros a trovarsi in affari con personaggi screditati e già indagati per sospetta truffa e riciclaggio. Cosa aveva a che spartire uno come Roveraro con delinquenti del genere? Dove finisce il delitto comincia dunque l'affaire. Ma questa è un'altra storia (o forse è la vera storia del caso Roveraro?) su cui spero di poter ritornare a tempo debito.