Nel suo slancio riformista tutto concentrato sul riassetto istituzionale dell’Italia (ovvero, per dirla con Rodotà, nello svuotare il parlamento dei suoi poteri e delle sue funzioni di controllo per conferirli all’esecutivo), Matteo Renzi sta trascurando le molte questioni aperte sul mondo della finanza. Prima di essere eletto segretario del partito e di essere chiamato alla presidenza del Consiglio, l’allora sindaco del Comune di Firenze, in una intervista al “Corriere della sera”, aveva dichiarato guerra al capitalismo di relazione, alla finanza dei salotti buoni, dei patti di sindacato, alle operazioni di sistema, tipo scalata alla Telecom e “salvataggio” Alitalia, alla socializzazione delle perdite e alla privatizzazione dei profitti, alle banche padrone, per le quali auspsicava che uscissero dal capitale dei giornali. Parole che avevano lasciato ben sperare, ma che a distanza di cinque mesi dalla sua ascesa a Palazzo Chigi non trovano alcuna concreta attuazione. Certo, ci vuole tempo, coraggio e tenacia per smantellare i poteri forti della finanza che hanno governato il paese e che sono responsabili, almeno al pari di quelli della politica, del declino economico e morale dell’Italia. Non possiamo pretendere che in cinque mesi Renzi riesca là dove altri hanno fallito in cinque anni, il tempo di una legilsatura. Ci saremmo tuttavia aspettati che l’impegno riformista del premier fosse equamente distribuito tra i vari settori della vita pubblica bisognosi di cambiamento, tra cui la finanza. Prendiamo per esempio il caso della Consob, la Commissione nazionale per le società e la Borsa, l’organo di controllo del mercato azionario: cosa intende fare Renzi per la Consob? Gli va bene così? La Consob sulla carta è un’autorithy amministrativa dotata di piena autonomia operativa, che dovrebbe tutelare gli investitori, garantendo la trasparenza e il regolare funzionamento del mercato mobiliare. Ma quante volte è intervenuta tempestivamente per impugnare bilanci irregolari, bloccare operazioni in odore di insider trading, colpire i meccanismi di elusione dell’Opa? In una moderna economia capitalistica, in cui la Borsa dovrebbe servire a finanziare i progetti di sviluppo delle imprese e non a scaricarne sui risparmiatori i buchi di bilancio, la Consob dovrebbe svolgere il ruolo di cane da guardia del mercato. Questo ruolo è stato però disatteso in varie occasioni. Ricordiamo i casi Cirio, Parmalat, Finpart, Seat, Fonsai, oppure Italease, Monte dei Paschi, Popolare di Milano: vicende che si collocano in un arco temporale molto lungo e molto diverse tra loro per rilevanza economica e gravità dei fatti contestati.
Per circa otto mesi la Commissione, l’organo collegiale che governa la Consob, è stata retta da un sol uomo – l’attuale presidente, Giuseppe Vegas – senza che qualcuno si sia sentito in dovere di denunciare, in parlamento, un’anomalia senza precedenti nei quarant’anni di vita dell’Autorità. Il governo Renzi ha deciso di riportare a cinque il numero dei commissari, dopo che l’ex premier Mario Monti lo aveva inspiegabilmente ridotto a tre per contenere, a suo dire, i costi della pubblica amministrazione. Cosa succederà ora a Vegas, uomo dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, logorato, fortemente indebolito, dai contrasti interni alla sua struttura e dalla gestione di alcune grandi operazioni, prima fra tutte la fusione Unipol-Fonsai? L’ex commissario della Consob Michele Pezzinga, peraltro vicino al Pd, ha denunciato, davanti al sostituto procuratore di Milano Luigi Orsi, le condotte di Vegas nell’ambito della vicenda Fonsai, puntando il dito sulle divergenze tra l’ufficio analisi quantitative dell’Authority, diretto da Marcello Minenna, e l’ufficio divisione mercati, diretto da Angelo Apponi.
Il “Corriere della sera” ha poi pubblicato un articolo con l’estratto conto personale di Pezzinga, da cui si evince che l’ex commissario durante la sua permanenza alla Consob aveva fatto trading di titoli, contravvenendo al codice edico della stessa Autorità. Ma se la logica del ricambio utilizzata da Renzi per le grandi società di Stato dovrà valere anche per la Consob, allora il futuro di Vegas appare già compromesso. Con una speranza: che il premier, nel suo anelito riformista, ponga fine ai metodi lottizzatori che hanno quasi sempre caratterizzato la nomina dei vertici di Via Isonzo.