Nella “grande” Milano città europea la mia famiglia è rimasta per un paio di settimane senza medico di base, in balia degli eventi. Circa dieci giorni fa ho scoperto che il mio medico era stato colpito dal virus e ricoverato al Policlinico. Superato il dispiacere della cattiva notizia mi sono rassicurato al pensiero che in questi casi subentra automaticamente un sostituto. Per verificare ho subito telefonato allo studio, anche perché ero a corto di certi farmaci, e mi ha risposto il medico di rimpiazzo il quale mi ha trasmesso per email le ricette che mi occorrevano. L’episodio mi ha tranquillizzato, non sapevo cosa mi aspettava.

Circa una settimana dopo ho dovuto ricorrere di nuovo al medico. Stavolta a rispondere c’era la segreteria telefonica che mi indicava nome e numero di cellulare di un altro sostituto. Ho provato a chiamare questo nuovo medico più e più volte, ma senza successo. Finché un giorno della scorsa settimana mia moglie non si è sentita male. La prima cosa che ho fatto è stata di cercare il medico, ma anche in questa situazione di urgenza il suo telefono squillava a vuoto. Intanto il malessere di mia moglie peggiorava. Non ci è rimasto altro da fare che chiamare il 118. E’ venuta l’ambulanza a sirene spiegate e, dopo una prima anamnesi, un elettrocardiogramma e scambi informativi con la centrale operativa, i soccorritori l’hanno trasferita al vicino Policlinico, dove nell’ex astanteria del pronto soccorso è in funzione per fortuna una sala “pulita” per i malati no-Covid. Il giorno dopo mia moglie stava già bene e veniva dimessa con una diagnosi che non destava allarme, ma a quel punto l’esigenza del medico era divenuta pressante e indifferibile, anche perché era venerdì santo e fino a Pasquetta non avrei saputo a che santo votarmi in caso di necessità.

Cosa fare, cosa non fare? Un’amica mi suggerisce di telefonare all’Ats, l’Agenzia per la tutela della salute, il braccio amministrativo della Regione Lombardia per la gestione della Sanità sul territorio. Chiamo l’Ats e il centralino mi dirotta su un interno. Mentre sono in attesa di una risposta che non verrà mai penso a tutti quelli che si trovano nella mia stessa identica situazione. I medici contagiati a Milano sono centinaia e tra questi anche i medici di base. Appena il telefono smette di squillare ricompongo il numero del centralino e riferisco che all’interno non risponde nessuno. Questo giochetto va avanti per un una buona mezz’ora. Adesso oltre che stanco sono anche visibilmente spazientito.

In questo via vai di telefonate, il centralino non sa più che pesci pigliare. Vorrebbe potermi aiutare sinceramente, ma quella è la procedura cui deve attenersi evidentemente per ordini superiori. Chiedo allora il numero dell’interno fantasma, che scopro essere quello del dipartimento cure primarie,  per poter chiamare direttamente eliminando un passaggio. Ogni volta, infatti, mi risponde un operatore diverso al quale debbo rispiegare l’intera storia fin dall’inizio.  Continuo a provare e a riprovare inutilmente con il numero diretto.

Richiamo per l’ennesima volta il centralino e sento montare dentro di me una rabbia incontenibile. L’operatore cerca di venirmi ulteriormente incontro. Mi spiega che il mio medico è iscritto alla medicina di gruppo (che non so bene cosa sia) e che in sua assenza posso rivolgermi a uno dei medici iscritti al suo gruppo il quale se vuole può prestarmi assistenza. Chiamo uno di questi medici e mi risponde anche qui un sostituto il quale cade dal pero e dopo neanche un minuto mette giù il telefono.

Sono all’esasperazione totale. Richiamo il centralino dell’Ats. L’unica magra consolazione cui mi aggrappo per non esplodere è la gentilezza e la professionalità di questi operatori telefonici. Chiedo sarcasticamente se oltre a loro sia rimasto a lavorare qualcun altro negli uffici dell’Ats alla vigilia di Pasqua e ottengo poco convincenti rassicurazioni. Tra l’altro scopro che l’unità relazioni con il pubblico, che potrebbe accogliere un mio reclamo, ha chiuso i battenti alle 12 e riaprirà dopo le feste pasquali.

Saranno state le mie insistenze, le mie vaghe minacce di un esposto alla Procura della Repubblica, l’aver dichiarato di essere un giornalista o forse più semplicemente il racconto di mia moglie finita in ospedale: sta di fatto che a un bel momento riesco a ottenere il numero di un funzionario dell’Ats preposto a raccogliere le segnalazioni urgenti. Mi chiedo perché non me lo abbiano fornito prima. Che abbia dato istruzioni di essere disturbato solo in casi di estrema necessità? Se così fosse sarebbe grave, ma il mio è solo un pensiero. “Adesso è in pausa pranzo, lo chiami più tardi”, mi informa il centralino. In effetti sono già scoccate le 13. Realizzo di essere al telefono da più di un’ora e mezza.

Dopo aver pranzato compongo quel numero senza farmi troppe illusioni. Dopo due squilli mi risponde una signora. Le spiego la situazione, le dico che deve aiutarmi a risolvere il problema del medico di base. Mi dice che il nome del sostituto del mio medico avrei potuto ottenerlo facilmente consultando il sito dell’Ats. Mi spiega le meraviglie del sito dell’Ats e della medicina di gruppo. Le spiego che il sostituto non mi ha mai risposto al telefono, che sapevo a stento dell’esistenza dell’Ats e che comunque la Regione avrebbe il dovere di informare i cittadini dei cambiamenti organizzativi della Sanità. Mi ribatte piccata che bisogna essere tolleranti e che non si può pretendere in un momento del genere che la Regione avvisi in modo capillare tutti gli assistiti. Le spiego, cercando di mantenere la calma, che ho fatto tutti i tentativi possibili e che adesso lei ha il dovere di risolvere il mio problema. Le chiedo perché non sia consentito comunicare direttamente con la segreteria del dipartimento cure primarie. Sempre più piccata mi risponde che lei appartiene a quel dipartimento. Perché allora il centralino ha continuato a passarmi un interno al quale non rispondeva nessuno? Insinuo il dubbio che negli uffici si lavori a ranghi ridotti e che una parte del personale sia a casa proprio nel momento del maggior bisogno. Con una frase a effetto ribadisco che la vicenda meriterebbe l’attenzione della magistratura.

Tagliamo corto. Dopo neanche mezz’ora mi chiama una dottoressa del dipartimento cure primarie che mi chiede di raccontarle la mia odissea. Da lì a poco mi chiama anche il sostituto del mio medico spiegandomi che con 6mila pazienti (i suoi 3mila più i 3mila del mio medico) vive di fatto attaccato al cellulare e che le mie difficoltà a comunicare con lui sono dipese dal sovraccarico di chiamate e richieste di assistenza. E per finire mi chiama anche il mio medico, uscito dall’ospedale già da alcuni giorni e ormai in fase di guarigione, anche se dovrà restare ancora in quarantena. Resta profonda l’impressione di una macchina burocratica sguarnita e autoreferenziale, scollegata dal territorio e dagli utenti del servizio sanitario nel momento peggiore dell’emergenza. La Regione in un momento così drammatico dovrebbe raddoppiare il personale e le linee telefoniche dell’Ats, rendendosi immediatamente disponibile per qualsiasi evenienza. Sono invece riuscito a far valere un mio diritto essenziale, e un diritto della collettività, solo grazie alla mia ostinazione.