Le imprese multinazionali creano più industria e posti di lavoro? Neanche per sogno. Per sfatare questo luogo comune basta elaborare alcuni dati pubblicati da R&S. Prendiamo il campione delle multinazionali europee costruito dalla società di ricerche e studi di Mediobanca e osserviamone l'andamento nel decennio compreso tra il 1999 e il 2008. Scopriamo che un settore ad alto tasso di innovazione come quello meccanico, che nel '99 ha rappresentato il 31,6% del fatturato aggregato del campione, nel 2008 è sceso al 24,7%, mentre il settore petrolifero è salito nello stesso periodo dal 18,3% al 32,6 per cento. In discesa anche i settori chimico-farmaceutico (dal 17,4% al 14,5%), alimentare e bevande (dal 7,3% al 6,7%), elettronica (dal 6,5% al 5%), servizi (4,7% all'1,9%), carta (dal 2,2% all1,8%) e gomma e cavi (dall'1,4% all'1,2%). A parte il settore petrolifero-energetico, segnano una crescita anche l'acciaio (dal 4,7% al 5,8% del fatturato totale del campione), il cemento e il vetro (dal 2,3% al 3,4%) e il tessile (dallo 0,4% allo 0,5%).
Attenzione, però: quelli che hanno registrato la più alta crescita percentuale di fatturato – il petrolifero e il chimico-farmaceutico – hanno anche avuto la maggiore flessione dell'occupazione, rispettivamente del 7,7% e del 7,4%, mentre il loro Roe (redditività del capitale netto) s'è attestato sul 25 per cento. Sono stati in sostanza più premiati, a livello di redditività, i settori industriali che hanno espulso dipendenti, mentre sono stati più penalizzati quelli che hanno imbarcato nuova occupazione. La meccanica, che tra il '99 e il 2008 ha accresciuto del 12,3% il numero degli addetti, ha avuto un Roe del 16%, e le costruzioni, a fronte di una crescita degli addetti del 53,5%, hanno avuto un Roe del 13,8 per cento.
Non solo: anche là dove s'è avuto un aumento dell'occupazione, questo è avvenuto a discapito del paese d'origine. In altre parole, le multinazionali creano lavoro ma quasi sempre all'esterno dei propri confini. Quelle francesi hanno ridotto l'occupazione in patria del 24,5%, aumentandola del 19,2% all'estero; quelle tedesche hanno registrato -12,5% in casa propria contro +20,8% al di fuori della Germania; e la crescita occupazionale estera delle multinazionali a capitale italiano è stata addirittura del 63,1% contro una contrazione del 12% su scala nazionale.
Analoga la tendenza in Nord America: a fronte di un calo occupazionale interno del 14,9%, le multinazionale americane hanno aumentato il numero dei dipendenti all'estero del 15,8 per cento. Insomma, il futuro dell'industria mondiale sembra dipendere in misura crescente dalle società petrolifere: aziende che generano costi ambientali elevati a carico della collettività, i cui profitti poggiano, più che sull'innovazione, sull'aumento dei prezzi del greggio.
Le multinazionali tagliano continuamente il personale e gli emolumenti per diminuire i costi, ma aumentano sempre i loro margini. Il fatto più grave, a mio parere, è che le multinazionali probabilmente non pagano le tasse in Italia ed esportano ( legalmente?) gli utili all’estero.
E noi poveracci che possiamo fare? Ben poco. Possiamo solo evitare di comprare prodotti che sbandierano a caratteri cubitali un prestigioso marchio occidentale e in caratteri microscopici la scritta “made in China”. Una goccia nel mare, ma l’unica goccia di cui disponiamo.
L’anomalia da regolare “sono” i continui obiettivi che il mercato pone alle aziende che, se disattesi di anche un minimo 0,5%, vengono abbandonate per giorni al declino azionario e reputazionale. Le aspettative andrebbero riviste e gli obiettivi non dovrebbero per forza guardare avanti, ma magari anche ad un temporaneo stand-by al fine di migliorare l’aspetto qualitativo globale.
Un passo indietro (anche nella produttività aziendale) può valere due passi in avanti. Saluti a tutti.
Finalmente una quantificazione!!!
Vi è sempre più finanza e sempre meno economia reale..
Il sottostante? ajahahha… dicono che ogni lezione nella vita abbia un costo, evidentemente l’ultima crisi non era abbastanza “salata”… mah!
Così stanno le cose. Nella globalizzazione è inevitabile che ci siano vincitori e perdenti, ma per stare dal lato dei vincitori bisogna ridimensionare tante cose che ci sembrano irrinunciabili…Comunque la politica degli Stati può far poco, il potere sta altrove.
Al di là delle inchieste e scoperte attuali, credo che già un secolo fa e più Karl Marx abbia detto praticamente la stessa cosa. Quando Marx parla della caduta tendenziale del saggio di profitto dice in sostanza che le imprese, a causa della caduta del saggio di profitto, decidono di dismettere la produzione nei paesi a capitalismo maturo (o nei settori maturi), dove il profitto tende storicamente a diminuire, per trasferire la produzione in altre zone (o altri settori) dove il costo del lavoro, ad esempio, è più basso e quindi si realizzano maggiori profitti. Inoltre, volevo segnalarle un articolo sulla Cina e la febbre dell’oro (di cui al link sul mio nome). Le chiedo una sua opinione in merito o un suo articolo sull’accumulo di oro da parte dei cinesi. Cordiali saluti