L’ordinanza con cui l’Alta corte della Nigeria autorizza il governo di Abuija a revocare a Eni e Shell la licenza del blocco esplorativo Opl 245 rischia di pregiudicare, in aprile, la riconferma di Claudio Descalzi alla guida del gruppo petrolifero italiano. Sulla vicenda dell’Opl 245 la Procura di Milano ha da poco chiuso l’inchiesta in cui sono indagati l’attuale amministratore delegato di Eni e il suo predecessore, Paolo Scaroni. Ma la recente decisione assunta dalle autorità nigeriane potrebbe avere conseguenze ancora peggiori per Descalzi. La Nigeria è infatti tra gli Stati dell’Africa in cui Eni è maggiormente attiva, e il suo presidente, Muhammadu Buhari (nella foto con Matteo Renzi), eletto nel 2015, ha dichiarato guerra alla corruzione, istituendo una commissione d’inchiesta per i crimini economico-finanziari consumati dai precedenti regimi.

Nel paese subsahariano la compagnia italiana controllata dal Tesoro opera dal 1962 e nel corso del 2015 ha prodotto 137mila barili di petrolio equivalenti al giorno. Le attività di estrazione sono concentrate nel Delta del Niger, una regione resa turbolenta dalle rivalità tribali esasperate dalla presenza delle multinazionali del petrolio. Oggetto del contendere sono i giacimenti di idrocarburi di cui alcune etnie locali, con il sostengo di gruppi paramilitari, rivendicano il possesso. L’attività di Eni in Nigeria è sottoposta a contratti di vario tipo che hanno come controparte lo Stato o la compagnia petrolifera di Stato. Come potrebbe Descalzi continuare a gestire le relazioni con un paese le cui massime autorità sospettano Eni e la sua alta dirigenza di essersi accaparrato l’Opl 245 con metodi corruttivi di cui avrebbero beneficiato, in parte, gli stessi manager di Eni? Quando Descalzi fu indagato tre anni fa dalla Procura di Milano, appena dopo la sua nomina, l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ne assunse la pubblica difesa. “Fino a prova contraria chiunque è innocente”, tuonò Renzi, convinto dell’estraneità di Descalzi ai fatti della Nigeria.

Nel frattempo l’inchiesta del procuratore aggiunto in pectore Fabio De Pasquale è arrivata a conclusione. Descalzi da indagato rischia di diventare imputato. La Nigeria ha eletto un presidente che ha preso le distanze dai regimi dittatoriali corrotti che lo hanno preceduto. E Renzi, dopo la sconfitta del “si” al referendum costituzionale, si è momentaneamente spostato dietro le quinte. Il pallino è passato, formalmente, nelle mani del nuovo presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. Sarà ancora una volta Matteo Renzi a decidere sul futuro di Descalzi o Gentiloni vorrà dire la sua? Una cosa è certa: dopo il pronunciamento della Procura meneghina e dell’Alta corte federale nigeriana, l’amministratore delegato di Eni ha sempre più l’aspetto di un’anatra zoppa. La sua reputazione, nei confronti di uno dei principali paesi produttori di petrolio, appare sempre più compromessa. E il rinnovo del suo mandato per un altro triennio non è più scontato come si pensava.