Attraversa un periodo particolarmente difficile l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi. La sua posizione appare sempre più traballante dopo l’indagine giudiziaria su presunte tangenti tra Italia e Congo Brazzaville (questo articolo è stato scritto il 23 aprile 2019). Giocano a sua favore la protezione accordatagli dalla Lega e l’atteggiamento garantista assunto nei suoi riguardi dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Bisogna vedere cosa accadrà alla prossima assemblea annuale degli azionisti di Eni: se i grandi investitori internazionali e i grandi fondi pensione potranno continuare a ignorare questa situazione. Il consiglio d’amministrazione convocato per la seconda metà di maggio potrebbe risentire del clima di forte tensione che aleggia sul vertice del gruppo. Di certo evapora per l’amministratore delegato la speranza di una riconferma nella primavera 2020, alla scadenza del suo secondo mandato.
I conti di Eni procedono a gonfie vele. Il problema di Descalzi sono le inchieste della magistratura. Prima l’accusa di corruzione internazionale per l’acquisizione in Nigeria, da parte di Eni e Shell, del maxi-giacimento offshore Opl 245. Per rilevare quel blocco petrolifero Eni è accusata di aver versato una tangente di oltre un miliardo di dollari a politici e manager di Stato nigeriani, che sarebbe andata ad arricchire anche manager dello stesso gruppo Eni. Per questa vicenda Descalzi è sotto processo a Milano insieme con il suo predecessore, Paolo Scaroni, attuale presidente del Milan, e con alti dirigenti ed ex dirigenti del “cane a sei zampe”.
Adesso, accanto al processo sull’Opl 245, la Procura di Milano ha aperto un’indagine sui rapporti intercorsi tra società offshore riconducibili alla moglie di Descalzi, Marie Madeleine Ingoba (nella foto, con il marito), e lo stesso gruppo Eni. Il nuovo filone giudiziario scaturisce da un’inchiesta giornalistica di Paolo Biondani pubblicata da “L’Espresso” il 10 marzo, su cui i media italiani alla quasi unanimità hanno taciuto e continuano a tacere. Motivo in più per scriverne anche a distanza di oltre un mese.
Ebbene, la signora Ingoba, di nazionalità congolose, è al centro di una “rete di interessi economici e legami politici” di cui farebbero parte anche il suo manager di fiducia Alexander Haly, cittadino inglese residente a Montecarlo, e l’uomo d’affari africano Serge Pereira, ovvero il marito della figlia, Cindy Descalzi. Questa rete di interessi si dipana attraverso un groviglio di finanziarie offshore che la Guardia di Finanza ha passata al setaccio. L’attenzione delle Fiamme gialle è concentrata su una società in particolare, Petroserve Holding Nv, e sulle sue partecipate in Congo, Gabon, Ghana, Monzambico che “affittano navi commerciali e gestiscono appalti di logistica e trasporti per le multinazionali del petrolio”, tra cui Eni e Total.
Gli investigatori hanno appurato che, per la vendita di servizi esclusivamente al gruppo Eni, queste società hanno incassato 310 milioni di dollari tra il 2012 e il 2017. Fino al 2014 (amministratore delegato Scaroni) Descalzi ha avuto la responsabilità della divisione Esplorazione e produzione di Eni, dal maggio 2014 siede al vertice del gruppo.
La signora Ingoba Descalzi avrebbe anche pagato regali per circa 150mila dollari l’anno a Julienne Sassou Nguesso, la figlia del presidente del Congo Denis Sassou Nguesso, tra i più corrotti e sanguinari dittatori dell’Africa.
La notizia più eclatante, qualora trovasse conferma nelle indagini e poi eventualmente nel processo, è però un’altra: tra il rinnovo delle concessioni di Eni in Congo e la vendita del 23% del giacimento Marine XI alla società Wnr Congo – il cui 25% è intestato ad Alexander Haly: ripetiamo, l’uomo di fiducia di Marie Madeleine Ingoba – vi sarebbe un rapporto di causa ed effetto. Per quel 23%, che secondo “L’Espresso” varrebbe 420 milioni di dollari, Wnr Congo avrebbe infatti pagato ad Aogc (la società African Oil & Gas Corporation, ritenuta una tesoreria occulta di Sassou Nguesso) la modica cifra di 15 milioni di dollari. Se così fosse, la quota di Alexander Haly nel giacimento Marine XI avrebbe oggi un valore potenziale di un centinaio di milioni di dollari.
Per quale motivo Aogc abbia svenduto, quasi regalato, la sua partecipazione in Marine XI non è dato sapere. L’unica cosa certa è che nell’aprile 2014, per ottenere il rinnovo delle concessioni dei suoi quattro giacimenti in Congo, Eni ha accettato di aprirne il capitale alla stessa Aogc. Per la Procura di Milano ciò configurerebbe un “meccanismo corruttivo”. Questa la descrizione che ne danno i magistrati: “L’Eni trasferisce quote di partecipazione a società collegate al presidente Sassou Nguesso” e per contro “il corrotto, per invogliare il corruttore, gli restituisce una parte delle tangenti” – sono parole de “L’Espresso” – cedendo a prezzo vile a una società dall’azionariato oscuro la quota di un giacimento che vale quasi trenta volte di più.
Per giunta accanto ad Haly figurava come azionista di Wrn Congo un’”amica fidatissima” di Roberto Casula, l’ex responsabile di Eni in Nigeria coimputato con Descalzi e Scaroni nel processo per l’Opl 245, contro il quale l’Alta corte di Abuja ha spiccato di recente un ordine di arresto.
Per Descalzi si profila insomma un finale di carriera in salita. Se la speranza di uscire assolto dal processo per la maxi-tangente nigeriana può avere un fondamento, la grana congolese e i presunti rapporti d’affari tra le società della moglie e il gruppo Eni rischiano di lederne irrimediabilmente l’immagine e di estrometterlo dalla scena in modo prematuro e imprevisto.
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