Cesare Geronzi alle Generali mi fa venire in mente un incontro della tarda estate del 2004 quando io e Giovanni Pons lavoravamo all'"Intrigo". La persona che andammo a trovare era una delle figure più influenti del secondo governo Berlusconi. Si discuteva di banche e banchieri e in particolare del ruolo di Banca d'Italia. A quel tempo sul più alto scranno di via Nazionale sedeva Antonio Fazio. Piuttosto che fare l'arbitro del sistema bancario, il governatore non faceva mistero del suo rapporto privilegiato con Cesare Geronzi, presidente di Capitalia. All'epoca i due sembravano indivisibili, anche se Fazio aveva già cominciato a rivolgere le sue attenzioni a  Gianpiero Fiorani.

Fazio e Geronzi, allora, erano intimi, si frequentavano anche in privato. Erano andati persino a Lourdes. E la battuta che circolava a Mediobanca, dove Geronzi avrebbe occupato qualche anno dopo la poltrona di Enrico Cuccia, era che il vigilante e il vigilato, non sapendo più cosa fare per tappare le falle di Capitalia, s'erano votati alla Modonna confidando nei poteri miracolosi dell'acqua di Lourdes. 
Al nostro interlocutore esponemmo la tesi del libro. In Italia c'è uno strapotere delle banche, rese sempre più forti dalla riforma dell'attività creditizia e dal declino dei grandi gruppi industriali. L'azione di vigilanza di Banca d'Italia è in alcuni casi blanda o addirittura inesistente, soprattutto quando ci sono di mezzo banchieri amici del governatore. Via Nazionale frena le aggregazioni, limita la concorrenza, chiude gli  occhi di fronte all'inefficienza dei suoi vigilati. Queste argomentazioni furono musica per chi ci ascoltava.
"Il punto da cui dovete partire per un libro sulle banche è la scalata alle Generali", esordì il nostro interlocutore. Per scalata alle Generali intendeva il rastrellamento in Borsa del titolo del Leone Alato condotto nel marzo del 2003 da UniCredit, Capitalia, Monte dei Paschi e Fondazione Cariverona per mettere sotto scacco l'allora amministratore delegato di Mediobanca, Vincenzo Maranghi, e spingerlo alle dimissioni.
"La scalata alle Generali – aggiunse – è stata incentivata dal governatore con la scusa di tenere i francesi fuori dall’azionariato di Trieste, ma con l’obiettivo di ricollocare nelle Fondazioni i pacchetti di azioni Generali rastrellati dalla banche, per poi utilizzare la compagnia per salvare Capitalia".
Questo scenario ci lasciò basiti. Non solo perché era la prima volta che ne sentivamo parlare, ma anche perché il nostro interlocutore era rimasto, è il caso di dire, sulle generali. Il suo rancore per Fazio e Geronzi ne facevano un uomo di parte, mentre per lanciare una "bomba" del genere nel nostro libro avevamo bisogno di altre conferme, altrettanto autorevoli. Purtroppo non ne trovammo. Nessuno sapeva niente di questa storia. Con rammarico fummo costretti a relegare l'indiscrezione in qualche riga.
La persona con cui eravamo a colloquio precisò che Fazio stava lavorando allo sbarco di Geronzi in Mediobanca e che, da presidente di Mediobanca,  Geronzi avrebbe cercato di portare Capitalia in Generali, attraverso una fusione, per poi magari fondere Mediobanca con Generali.
Le cose non sono andate proprio così.  Anche perché Fazio ha poi rotto con Geronzi ed è stato cancellato di scena dalle inchieste giudiziarie sulle fallite scalate bancarie del 2005. Ma il nostro interlocutore la sapeva lunga a giudicare da quello che è successo dopo. Non sono state  le Generali a salvare Capitalia, ma l'UniCredit di Alessandro Profumo. Ed è grazie a questa operazione che Geronzi ha avuto spalancate le porte di Mediobanca. Ma cambiando l'ordine dei fattori il risultato non cambia. Geronzi voleva andare a Mediobanca e c'è riuscito. E, anche se non ha combinato un granché come presidente di Piazzetta Cuccia, è riuscito comunque a demolire il mito della finanza laica (che non è poco). Il banchiere più vicino alla politica e al Vaticano, quintessenza del potere romano, è finito al vertice della banca che Cuccia cercò sempre di preservare dal vorace sistema dei partiti, e adesso occupa la presidenza dell'altro grande crocevia della finanza italiana.
Ma perché ha lasciato Milano per Trieste? Qui le cose si fanno più nebulose. Una prima spiegazione è che lo ha fatto per sottrarsi ai rigidi criteri di onorabilità in vigore nel settore creditizio, che lo avrebbero costretto a dimettersi da Mediobanca in caso di condanna per concorso nella bancarotta della Parmalat. E' una possibilità, quest'ultima, tutt'altro che remota. L'ex presidente di Capitalia dovrà essere giudicato per il caso Eurolat, anche se è stato recentemente prosciolto a Roma dall'accusa di estorsione, ed è sotto processo a Parma per la vicenda Ciappazzi, due capitoli molto spinosi del crack di Collecchio. Nel campo delle assicurazioni, invece, i criteri di onorabilità sono regolati da una norma molto blanda, almeno fintantoché il ministro delle Attività produttive, Claudio Scaiola, non si deciderà a estendere alle compagnie assicurative la disciplina bancaria.
La necessità di proteggersi da eventuali rischi giudiziari spiega però solo in parte la decisione di Geronzi. Massimo Giannini su "Repubblica" ha scritto che il banchiere persegue un duplice obiettivo: blindare gli assetti di potere della finanza italiana e sostenere le operazioni dei "campioni nazionali" come Telecom e Alitalia trasformando la più grande cassaforte privata di liquidità in una sorta di braccio armato del governo.  Da qui l'appoggio offertogli dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti.  Peraltro, appena dopo il suo insediamento,  il banchiere-assicuratore ha auspicato un maggiore radicamento delle Generali nel mercato italiano. Domanda: e se la missione segreta di Geronzi fosse quella di portare Berlusconi a Trieste fondendo Mediolanum con Generali? Su questa possibilità, che per ora è solo fanta-finanza, c'è chi è pronto a scommettere. I passaggi potrebbero essere i seguenti: Mediobanca potrebbe essere incorporata in Generali; queste si troverebbero in portafoglio il 13% di azioni proprie attualmente detenute da Pizzetta Cuccia; a questo punto le Genrali potrebbero acquisire Mediolanum, o altre società del settore, con un'operazione carta-contro-carta. Vale a dire con uno scambio azionario.
Geronzi non ha deleghe operative nel consiglio d'amministrazione  del Leone, ma è dotato di eccezionali capacità di comando. La sua storia professionale è  lì a dimostralo. E anche in questa circostanza potrebbe nascondere qualche asso nella manica da calare sul tavolo da gioco al momento opportuno. Il potere del resto non si esercita mai alla luce del sole. Procede sempre per vie secondarie e cunicoli stretti e bui