I giudizi positivi sulle banche europee rappresentano un "ottimismo di facciata", scrive Marco Onado (sul Sole-24 Ore del 1° febbraio 2011), e ciò vale anche per le banche italiane, la cui situazione "è ben lungi dall'essere tornata alla normalità". Finalmente qualcuno che parla chiaro.


Ordinario di Economia degli intermediari finanziari all'università Bocconi, Onado osserva che la reazione a catena innescata dalla crisi greca "genera per le banche perdite sui titoli pubblici in portafoglio…e un aumento del costo della raccolta di fondi sul mercato" e aggiunge che "il mercato sta legando in modo sempre più stretto la percezione del rischio sovrano e del rischio bancario". Nel 2011,  secondo Onado, la Germania dovrà rifinanziare oltre il 7% del proprio debito interno (quasi la metà di banche) e l'Italia oltre il 12% (costituito per due terzi da debito pubblico). L'economista afferma che le autorità di vigilanza europee stanno spingendo i sistemi bancari nazionali verso gli obiettivi  dei nuovi accordi di Basilea, cioè verso una più consistente patrimonializzazione e una maggiore stabilità finanziaria degli istituti di credito, condizioni essenziali per una ripresa generale dell'economia, e aggiunge che il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, ha partecipato irritualmente al comitato esecutivo dell'Abi per spronare le banche ad assicurare "condizioni distese di accesso alla liquidità".  Si tratta tuttavia di un obiettivo non facile da raggiungere, ammette Onado, perché le banche hanno il problema di mantenere "livelli di redditività compatibili con lo sforzo di ricapitalizzazione". In sostanza, i profitti degli istituti di credito stanno crollando e questo renderà sempre più difficoltoso il rapporto tra top manager bancari e fondazioni loro azioniste.  Sarà veramente duro far digerire ai vari Palenzona,  Biasi,  Guzzetti che una parte sempre più cospicua dell'utile bancario sia destinata a capitale e non a dividendo. La posta è davvero alta, scrive ancora Onado: è in gioco la "disponibilitùà di credito alle imprese, non solo da parte delle grandi banche, ma anche da quelle locali…che assicurano una parte significativa del finanziamento, e la via da percorrere è tutta in salita. In un recente documento della Banca d'Inghilterra si affermava "papale papale che per rendere il sistema bancario davvero robusto occorrerebbero livelli di capitale ben superiori non solo a quelli attuali, ma anche a quelli previsti a regime da Basilea, magari doppi".
Per convincersi della serietà della situazione basta fare due conti sulla scorta dei più recenti dati di bilancio aggregati, quelli al 30 settmbre 2010. I maggiori gruppi bancari italiani registrano nel complesso una marcata flessione dei ricavi, che risentono del calo del margine d'interesse e dei minori utili da trading. Reggono solo i ricavi da commissione. I loro utili, in discesa, sono  sorretti da plusvalenze straordinarie e da minori accantonamenti sui crediti deteriorati, che rappresentano una percentuale molto elevata dei mezzi propri. Se le banche italiane adottassero le stesse politiche prudenziali di svalutazione dei crediti inesigibili in vigore in altri paesi europei i loro profitti subirebbero un'ulteriore caduta. Il loro calo di redditività è preoccupante, e non si venga a dire che prestano il denaro alla clientela. Gli impieghi al 30 settembre 2010 dei primi undici gruppi sono mediamente cresciuti dello 0,6% a fronte di una raccolta aumentata dello 0,4 per cento. Altro che "condizioni distese di accesso alla liquidità". Quid di disteso c'è solo il cliente.