Salve,
sono uno studente universitario, sto scrivendo una tesi sul reato di manipolazione del mercato. Siccome sono un lettore del "Sole-24 Ore" (e del suo blog) ho seguito tutti i suoi articoli in tema di finanza e potere, quindi sono molto curioso di sapere il suo parere sulla Market abuse directive. Secondo lei è veramente efficace nel prevenire i reati finanziari? Inoltre sa che oggi è stata aperta la consultazione per il rinnovo della Mad? Cosa ne pensa?
Luca Mazzei
Caro Luca,
le dico subito che a una parte della sua domanda non sono in grado di rispondere. So che la Commissione europea ha aperto una consultazione sulla direttiva per gli abusi di mercato, ma non essendo un tecnico e non essendomi occupato in modo specifico della questione non sono in grado di dirle di più. Posso solo invitarla a tenere d'occhio "Il Sole-24 Ore" e in particolare gli articoli di Riccardo Sabbatini, che è il nostro esperto in materia.
Posso invece provare a dire qualcosa sulla prima parte della sua domanda dove lei mi chiede di esprimermi sul grado di efficacia dell'attuale legge sul market abuse per come è stata recepita nell'ordinamento italiano.
Qui posso attingere alla mia esperienza diretta avendo seguito le vicende dei "furbetti del quartierino" e avendone scritto a quattro mani con Giovanni Pons nel saggio-inchiesta "L'intrigo. Banche e risparmiatori nell'era Fazio", che pubblicammo per i tipi della Feltrinelli nel dicembre del 2005.
Se l'Italia non avesse recepito per tempo la direttiva sugli abusi di mercato, molto probabilmente Gianpiero Fiorani sarebbe riuscito a scalare l'AntonVeneta nei modi che sappiamo, Stefano Ricucci sarebbe un importante azionista della Rcs e Giovanni Consorte sarebbe a capo del polo bancario-assicurativo che sarebbe dovuto nascere dall'integrazione tra Unipol e Bnl. Prima della market abuse, chi commetteva insider trading o chi provocava turbative sui mercati finanziari aveva altissime probabilità di restare impunito. Il sospetto di uso illegittimo di informazioni privilegiate o di aggiotaggio ha sfiorato molte delle operazioni borsistiche degli ultimi trent'anni e alcuni dei protagonisti della finanza italiana, compresi i più noti. Ma, a parte la condanna per insider contro il finanziere Emilio Gnutti e poco altro, prima dell'entrata in vigore della market abuse (quasi) tutti l'avevano fatta franca. Se i magistrati avessero potuto mettere sotto ascolto, nel 1999, i telefoni degli scalatori della Telecom mentre era in corso l'Opa della Olivetti, forse anche quella vicenda avrebbe preso un'altra piega. La Consob aveva notato l'anomalo andamento dei corsi azionari di Olivetti e Telecom. Aveva anche condotto un'indagine con gli strumenti di cui disponeva allora. E con i suoi tempi lenti aveva trasmesso gli incartamenti alla magistratura di Brescia affinché indagasse. Da lì l'inchiesta era stata passata al sostituto procuratore di Milano Francesco Greco. Ma nel frattempo erano trascorsi circa tre anni ed era anche passato di mano il controllo della società (dalla Olivetti di Colaninno, Gnutti & soci, la Telecom era finita alla Pirelli di Marco Tronchetti Provera). Dimostrare che tre anni prima qualcuno s'era presumibilmente arricchito a danno del mercato trasferendo a un broker compiacente informazioni sulla scalata, quando questo qualcuno aveva magari cambiato casacca, a quel punto diventava impossibile. Tant'è che dell'inchiesta non si seppe più nulla.
L'insider e l'aggiotaggio sono reati particolarmente complessi da dimostrare, perché debbono essere provati nel momento stesso in cui avvengono. L'intercettazione è dunque l'arma più efficace di cui può disporre la Giustizia contro il più diffuso tra i crimini finanziari. Di fronte al ragionevole sospetto che un'operazione sia in odore di insider o di aggiotaggio, il magistrato deve poter avanzare al giudice richiesta di intercettazione. Altrimenti le tracce del reato spariscono e chi delinque se la passa liscia, come è sempre successo prima delle fallite scalata bancarie del 2005.
Questo non significa che in materia d'intercettazioni non debbano essere introdotte nuove regole. Ma un conto è impedire che vengano diffuse al pubblico conversazioni di natura personale che nulla hanno a che vedere con la prova del reato, un altro è abolire le intercettazioni. Dire che la magistratura fa un uso distorto di questo strumento investigativo, che butta i soldi per niente, che bisogna impedire sempre e comunque la pubblicazione delle telefonate, non aiuta a combattere i reati economici. E ci riporta ai tempi in cui l'insider era la regola.
La questione è ora legata all'esito dei processi in corso contro i "furbetti del quartierino". Se le accuse reggeranno e le condanne fioccheranno, sarà più facile dimostrare l'utilità delle intercettazioni ai fini processuali; se cadranno, chi si batte per abolirle avrà argomenti in più da far valere agli occhi di un'opinione pubblica sempre più estenuata e sfiduciata per i tempi lunghi della Giustizia. Il processo contro Giovanni Consorte e contro l'attuale direttore generale dell'Unipol, Carlo Cimbri, in corso a Milano, potrebbe segnare una svolta al riguardo. Nel bene come nel male.